La colletta significa qualcosa per tutti

Editoriale

L’inizio è stato di buon auspicio. Il progetto dei Vescovi umbri ha avuto un’accoglienza positiva in tutti gli ambienti, assumendo in ognuno di essi significati particolari. Raccogliere offerte per i poveri della comunità significa fare un gesto di valore non solo e non tanto economico quanto ecclesiale dalle antiche radici bibliche, che lo rende quasi un rito sacrificale. Non per niente i Vescovi hanno parlato di ‘decima’ e di ‘colletta imperata’, termini che volevano entrare nella sfera dell’appello e della corrispettiva risposta dovuta. Siamo sempre nell’ambito della libertà soggettiva, ma con un impulso indirizzato verso la consapevolezza del dovere da compiere. Insomma la ‘colletta imperata’ stabilita ufficialmente dai Vescovi assume per i fedeli un valore di dovere, conformemente alle proprie possibilità. Questo insegnamento ha solide ascendenze evangeliche nell’esempio emblematico dell’obolo della vedova. Un altro esempio nel Nuovo Testamento è il grande impegno di Paolo (siamo nell’Anno paolino) per raccogliere la colletta per la comunità cristiana piuttosto povera di Gerusalemme. Un prete cittadino recentemente ha trovato nella busta delle offerte 1.000 euro, anonimi. Una cosa insolita, ma legata a questa iniziativa dei vescovi umbri: in genere, si trovano per lo più degli spiccioli. La colletta quindi può avere un valore pastorale nel suscitare il senso della comunità e della responsabilità collettiva in coloro che, credendo, spezzano il pane eucaristico nella comunione liturgica, e per questo stesso fatto sono chiamati a spezzare il pane quotidiano nella vita concreta in mezzo ai fratelli. Per coloro che non credono, la colletta assume un significato di solidarietà che travalica le divisioni confessionali e ideologiche e pone legami sul piano della comune umanità e dell’appartenenza all’unica Città degli uomini e delle donne legati ad un comune destino. Accogliendo l’apporto di tutti, i Vescovi, e per loro mezzo i credenti, superano il dato dell’identità religiosa per mostrarsi fratelli anche di coloro che la pensano diversamente; e colgono l’occasione per attenuare, sul piano della solidarietà, i dissensi che possono esserci sul piano del dibattito culturale. L’etica della responsabilità e della solidarietà, grazie a Dio, accomuna oggi laici e credenti. Riscoprire da parte dei credenti una stretta vicinanza con chi ha altre appartenenze costituisce una crescita e una maturità di coscienza che impedisce di cadere nel settarismo e nel complesso di superiorità. Questa vicinanza, che già si realizza nel momento della raccolta, sarà ancora più evidente nel momento della distribuzione, che sarà senza discrimini di alcun genere. Questo, d’altra parte, è stato sempre lo stile e il metodo della Chiesa e della Caritas: di non chiedere mai ‘chi sei’ ma ‘di che hai bisogno’. Per qualcuno potrà essere anche una forma di riparazione di un denaro ingiustamente posseduto. Non si tratta di una restituzione, ma di somme che possono essere ‘riciclate’ nella carità. Un discorso molto delicato, che non assolve ladri o rapinatori o altro, e non vuol essere una scorciatoia, ma forse a qualcuno la coscienza può suggerire una strada di questo tipo. A istituzioni ed enti la colletta può far ricordare che tutto quello che sono e che fanno è destinato al bene della comunità e al suo servizio, ed inoltre che nessuno può isolarsi e far finta che tutto vada bene, ma realisticamente prendere atto della urgente necessità di un supplemento di generosità e di impegno.

AUTORE: Elio Bromuri