La fiducia tradita

La comunità locale, cittadina e regionale, è frastornata e amareggiata perché un gruppo, sia pure ristretto, di stranieri provenienti dal Marocco, e soprattutto un personaggio presente da 15-20 anni in Italia, abitante a Ponte Felcino, frazione del Comune di Perugia, avrebbe approfittato dell’ospitalità e accoglienza sempre generosa della nostra gente e delle istituzioni, per organizzare una cellula predisposta a compiere azioni terroristiche. I fatti sono ancora al vaglio dell’autorità della magistratura inquirente e non sappiamo ora valutare adeguatamente la loro gravità e pericolosità. Quello che è certo, come ha affermato in una pubblica dichiarazione mons. Riccardo Fontana, arcivescovo di Spoleto-Norcia e vicepresidente della Conferenza episcopale umbra, è che non si deve colpevolizzare tutta la comunità musulmana presente in gran numero in Umbria, che si ritiene non rappresentata dai personaggi arrestati. Lo stesso imam di Perugia Abdel Qader ha dichiarato la sua contrarietà all’ipotesi che qualche musulmano si sia servito di una moschea per preparare azioni terroristiche. La vicenda rappresenta, comunque, un campanello d’allarme e richiede una sempre maggiore prudenza nelle relazioni con un mondo che trattiene zone d’ombra e ogni tanto presenta alcuni aspetti sconosciuti ed enigmatici. Una nota di spiegazione sarebbe, inoltre, necessaria per coloro che devono scrivere e fare discernimento sulla realtà delle comunità musulmane che vengono giudicate secondo parametri non adeguati. Si fa, ad esempio, confusione considerando l’imam come un sacerdote, la moschea come fosse una chiesa e la preghiera islamica come fosse la celebrazione di una messa. Una confusione e un equivoco che non aiutano a decifrare gli intricati percorsi di comportamento di singoli e comunità. L’imam, che è la guida della preghiera, non riceve una particolare investitura religiosa e non ha necessariamente una specifica preparazione teologica. Il più delle volte non si sa chi lo abbia nominato e chi gli dia uno stipendio. La moschea non è una chiesa. Nell’islam non c’è nulla di sacro o di santo fuorché Dio; non c’è sacerdozio. La preghiera è la ripetizione di formule e gesti che possono essere fatti anche da soli, perché non è presente alcuna forma di mediazione sacerdotale. Anche se pregano insieme, come a mezzogiorno del venerdì nella moschea, i musulmani sono sempre ognuno solo davanti a Dio. La moschea, inoltre, rappresenta il luogo per eccellenza della comunità civile e religiosa, che sono la stessa cosa; è un rifugio, una scuola, un tribunale, un luogo di assistenza, di convegno, dove la distinzione tra religioso e civile non è così netta. Non è un caso che proprio dalle moschee e dai centri culturali siano partite iniziative politiche anche di grande impatto storico come la rivoluzione khomeinista. A questo punto, per evitare brutte sorprese, si deve conoscere meglio il molteplice e variegato mondo musulmano, la sua lingua, le dottrine e le pratiche che sono ritenute conformi alla cultura diffusa, fondata sui testi sacri e sulla lunga tradizione dei vari popoli. Favorendo così l’affermazione di quelle energie vitali, oggi più numerose tra gli immigrati, che spingano tutti ad un moto di pacificazione e riconciliazione prima di tutto tra le varie anime dell’islam e poi con il nostro mondo occidentale e cristiano.

AUTORE: Elio Bromuri