La Giornata dei poveri

di Matteo Fadda*

Per introdurci nella settima Giornata mondiale dei poveri (19 novembre) il Papa ci propone la Parola di Dio tratta dal libro di Tobia “Non distogliere lo sguardo da ogni povero” (Tb 4,7). Questa Parola non lascia spazio all’indifferenza, infatti “quando siamo davanti a un povero – spiega Papa Francesco – non possiamo voltare lo sguardo altrove, perché impediremmo a noi stessi di incontrare il volto del Signore Gesù”.

L’esperienza dell’incontro con Gesù contribuisce a muovere tanti uomini e donne di buona volontà ad impegnarsi nell’accoglienza dei poveri “eppure non basta” ci avverte il Pontefice, perché “un fiume di povertà attraversa le nostre città e diventa sempre più grande fino a straripare; quel fiume sembra travolgerci, tanto il grido dei fratelli e delle sorelle che chiedono aiuto, sostegno e solidarietà si alza sempre più forte”.

Questo messaggio ci scuote e ci dà un orientamento e una chiave di lettura precisa: è la realtà, sempre più drammatica, che stiamo vivendo in questi ultimi mesi. Il ritorno della guerra in Europa in seguito all’invasione russa dell’Ucraina; centinaia di migliaia di persone che emigrano in fuga da conflitti e povertà; il massacro di innocenti in Israele ed i bombardamenti nella Striscia di Gaza. Davvero un fiume che straripa e che sembra travolgerci. Situazioni che si aggiungono alle realtà di povertà che abbiamo vicino alle nostre case.

Cinquant’anni fa un sacerdote dalla tonaca lisa, infaticabile apostolo della carità come lo ha definito Benedetto XVI, aprì la prima casa famiglia per accogliere prima i disabili, poi i bambini senza famiglia. Una rivoluzione che di recente Francesco ha spiegato ricevendoci in udienza. “Oggi, qui con voi – ha detto –, voglio sottolineare che le ‘case famiglie’ sono nate dalla mente e dal cuore di don Oreste Benzi. Lui era un prete che guardava i ragazzi e i giovani con gli occhi di Gesù, con il cuore di Gesù. E stando vicino a quelli che si comportavano male, che erano sbandati, ha capito che a loro era mancato l’amore di un papà e di una mamma, l’affetto dei fratelli. Allora don Oreste, con la forza dello Spirito santo e il coinvolgimento di persone a cui Dio dava questa vocazione, ha iniziato l’esperienza dell’accoglienza a tempo pieno, della condivisione della vita; e da lì è nata quella che lui ha chiamato ‘casa famiglia’.

Un papà e una mamma che aprono le porte di casa per dare una famiglia a chi non ce l’ha. Una vera famiglia; non un’occupazione lavorativa, ma una scelta di vita. In essa c’è posto per tutti: minori, persone con disabilità, anziani, italiani o stranieri, e chiunque cerchi un punto fermo da cui ripartire o una famiglia in cui ritrovarsi. La famiglia è il luogo dove curare tutti, sia le persone accolte sia quelle accoglienti, perché è la risposta al bisogno innato di relazione che ha ogni persona”.

La relazione, “il bisogno innato di relazione”, ci porta a mettere la nostra spalla sotto la croce degli oppressi, dei diseredati, degli scartati. Quando si fa questo, allora non c’è tanto bisogno di spiegare, di parlare. È un linguaggio universale che può essere applicato a tutte le culture e nei più variegati contesti, è lo stile della nonviolenza che disinnesca la violenza, è il regno della Pace che rende inutile e insensata la guerra.

* responsabile Comunità Giovanni XXIII

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