La laicità… al di là dei polveroni

A proposito del docente ateo che toglieva il crocifisso dall'aula

Attacco ai diritti fondamentali e alla laicità dello Stato’. Con questo titolo è stato diffuso dal ‘Centro sociale Germinal Cimarelli’ di Terni un comunicato di protesta e, al tempo stesso, di solidarietà al prof. Franco Coppoli, il quale durante la sua lezione stacca il crocifisso dalla parete e lo riappende al termine della lezione stessa. E ciò perché, essendo ateo, ritiene che la presenza obbligatoria di un simbolo religioso in un ambiente, come l’aula scolastica, per definizione pubblico e perciò doverosamente inclusivo delle opinioni e degli orientamenti di tutti, violi il suo diritto di ‘svolgere la propria attività in maniera serena e senza condizionamenti’. Per questo, il 26 maggio ha dovuto affrontare le aule del tribunale. Ha affermato che il suo non era un attacco contro la religione in sé, e tuttavia a difenderlo ha chiamato un avvocato militante nella società atei, agnostici e razionalisti. Ebbene, qui a mio avviso si fa un gran polverone, un pout-pourri di tutto e di più; si tira in ballo la laicità, i diritti fondamentali, la politica oppressiva del Governo, la libertà di stampa, le leggi razziste di questo Governo che evocano le leggi fasciste, il populismo dello stesso Governo, la campagna elettorale condotta sulle macerie dell’Abruzzo, i presidi a cui è richiesto dal Governo di diventare spie delle questure, lo Stato confessionale’ e chi più ne ha più ne metta. Il metodo delle idee chiare e ‘distinte’ non è certamente il retroterra di questa cultura; il ‘distingui frequentemente e insegnerai bene’ non fa parte della sua metodologia. Sembra piuttosto prevalere il metodo dell’alzare polveroni, del muovere comunque le acque, nella certezza sperimentata che alla fine qualche pesce abbocca. Ma so che insistere su questi argomenti è vano, perché i problemi di metodo non sono certamente a cuore di questo procedere: importante è invece strillare, reclamare, affermare le proprie ragioni, ridire sempre le stesse cose’ perché alla fine chi strilla di più ha ragione. Proviamo tuttavia ad accogliere l’invito che nel comunicato viene rivolto a ‘che ognuno prenda parola sviluppando la discussione pubblica’. È detto nel testo del comunicato stampa che, per un ateo, il crocifisso è un simbolo che lo esclude, e che in pubblico dovrebbero esserci solo simboli includenti. Proviamo ad approfondire. Qualsiasi comunità, provenendo da una storia, ha una sua cultura, ha i suoi simboli: la bandiera, l’inno nazionale, Garibaldi, Mazzini, Cavour, la Resistenza… il crocifisso, la mezzaluna’ Questa cultura risulta inclusiva proprio perché dà la possibilità ad ognuno di rendersi conto del perché questi simboli siano giunti alla dignità di riferimento condiviso; dà ad ognuno la possibilità di ridiscuterli, di operarsi perché diventino arnesi vecchi da rimettere nel cassetto delle cose vecchie, ma anche di mantenerli finché un processo di rimozione non sia compiuto e condiviso dalla maggioranza’Faccio un esempio. Più volte si è discusso sull’inno nazionale. È preferibile il vigente o il ‘Va’ pensiero’ del Nabucco? Si è discusso, e anche questo discutere fa parte dell’essere inclusi. Ha prevalso fino ad oggi il parere del mantenimento di Fratelli d’Italia: fa parte dell’inclusione nella comunità anche l’accettazione del parere della maggioranza e il rispetto di essa, pur seguitando a manifestare la propria preferenza per soluzioni diverse e il seguitare ad impegnarsi finché non si arrivi a queste soluzioni diverse. Inclusione non deve significare uniformismo, bensì confronto delle differenze; ma certamente nemmeno deve significare azzerare ciò che per una parte della comunità risulta fastidioso. Non posso annientare la ‘bandiera’ della sinistra perché alla destra risulta indigesta, o viceversa. Il mio modo di concepire la democrazie e di conseguenza l’inclusione in una società democratica è diverso.

AUTORE: Gianni Colasanti