La novità del comandamento

Commento alla liturgia della Domenica "FIRMATO" Famiglia VI Domenica di Pasqua - anno B

Il Vangelo di domenica narra del testamento che Gesù lasciò ai suoi discepoli nell’Ultima Cena, prima di andare verso l’orto del Getsemani; è davvero la “divina Charta della carità di Dio verso di noi, e della carità nostra verso tutti”. Gesù sente, per la morte ormai vicina, di dover aprire il suo cuore agli apostoli donando loro ciò che ha di più prezioso: l’amore trinitario, la natura stessa del legame che da sempre esiste in Dio. È un brano di vita intima, di grandissima confidenza, di commozione. Quello narrato da Giovanni in questi versetti è l’apice della missione di Gesù tra gli uomini: il dono che li abilita ad amare, anzi a ri-amare con lo stesso Amore suo. La novità assoluta, sconvolgente, impensabile, tanto attesa e da sempre agognata dall’uomo: amare di un amore che porta la felicità. Due realtà che l’uomo ha perso quel giorno in cui voltò le spalle a Dio nell’Eden; le due cose che ogni uomo cerca spasmodicamente. E spesso le cerca insieme perché intuisce che sono legate tra loro. Cerca amore e felicità nel rapporto tra uomo e donna, quasi come nostalgia di quell’Eden dove la prima coppia era fedele immagine di Dio.

Desideriamo amare ed essere amati, e soffriamo perché non riusciamo ad amare e ad essere amati come vorremmo, o come pensiamo di dover essere amati. Gesù sazia per sempre questo desiderio, e lo fa nell’ora più oscura della sua vita terrena – quella del fallimento e sconfitta segnata dalla condanna a morte – che si rivela come l’ora della “glorificazione”. In lui, che ama fino al dono della propria vita, si manifesta la vera natura della potenza di Dio, che è potenza di Amore. Per questo “Dio è stato glorificato in lui” ( Gv 17,31). È la più grande delle teofanie! Quello che avviene è l’abbraccio dell’uomo da parte di un Dio innamorato da sempre di lui, che gli si svela ora con il linguaggio del cuore. L’amore reciproco che gli umani possono avere tra loro inizia da questo Amore su cui l’uomo può contare sempre, da ora, e con il quale può generare rapporti realmente nuovi a immagine di quelli trinitari. Così tra coniugi, in famiglia, nelle comunità.

Gesù lascia come testamento un comandamento che è “nuovo” per la perfezione a cui lui l’ha portato, e perché costituisce il distintivo dei discepoli: “Figlioli, amatevi gli uni gli altri come io vi ho amato”. Giovanni vede nell’amore reciproco il comandamento per eccellenza della Chiesa, la cui vocazione è appunto essere comunione, essere unità. Poteva Gesù lasciarci un testamento più bello di questo? Nella comunità, la cui profonda vita è l’amore reciproco, Gesù può rimanere efficacemente presente. Attraverso la comunità egli può continuare a rivelarsi al mondo, può continuare ad influire sul mondo. Con il comandamento nuovo, lega i suoi discepoli a ciò che ha vissuto, dona loro di amare come lui ama. Quella sera, ha pregato: “L’amore con il quale mi hai amato sia in essi e io in loro” (Gv 17,26). Non dà una parola da osservare: dona se stesso. Con il dono del comandamento nuovo, Gesù fa dono della sua presenza. In casa, tra moglie e marito, con i figli, gli altri parenti, prima di lavorare, prima di studiare, prima di andare a messa, prima di ogni attività, possiamo verificare se regna fra noi il mutuo amore. Se è così, su questa base, tutto ha valore. Senza questo fondamento, nulla è gradito a Dio.

Il comandamento è nuovo, è capace di produrre novità. “Cieli nuovi e terra nuova” sono oggi l’aspirazione di tutti gli uomini e donne che sono impegnati in un superamento dell’attuale sistema sociale, così carico di ingiustizie e sfruttamenti. L’uomo da solo non riesce; cade con facilità nella tentazione di provarci con la forza e la violenza, ma il centro propulsore della storia non sono la lotta e la violenza. Per questo, prima di patire e morire, il Signore Gesù ha lasciato ai suoi il “comandamento nuovo”, che si ricapitola tutto nell’amore vicendevole, manifestazione dell’amore divino che circola tra il Padre e il Figlio. Se noi, che siamo discepoli del Signore e quindi suoi amici, dovessimo fare di questo testamento la regola della nostra vita, tutti dovrebbero riconoscerci proprio perché il nostro “dirci” cristiani non sarebbe una parola vuota, ma testimonianza di amore e di vita. È per questo amore che Cielo e terra sono collegati come da una grande corrente. Per questo amore, la comunità cristiana è portata nella sfera di Dio, e la realtà divina vive in terra dove i credenti si amano.

 

AUTORE: Letizia Vannelli Elio Giannetti