La parabola dei talenti

“Il mio bene è stare vicino a Dio” ascoltiamo nell’Antifona di comunione di questa 33ma Domenica esprimendo così la volontà di assecondare il messaggio della pagina evangelica e non finire “fuori nelle tenebre”. Il contesto è il seguito della parabola delle 10 vergini perché la parabola che ci riguarda inizia con “infatti” (gar) -nel testo in lingua originale-, perciò come conseguenza dell’insegnamento sulla necessità della “vigilanza”, Gesù espone questa nuova parabola detta dei ‘talenti’. Il protagonista è un uomo d’affari che intraprende un viaggio (di certo finalizzato all’investimento) e lascia i suoi “beni” a degli amministratori (servi). È significativo notare che nell’introduzione il protagonista è semplicemente un “uomo”, mentre al suo ritorno, al momento del regolamento dei conti, l’Autore gli attribuisce il titolo di “signore”. Diverso è anche il modo in cui è denominato il patrimonio del “signore”: si parla (letteralmente) di “proprietà”, ma, nel momento in cui viene consegnata ai servi, essa viene espressa in “talenti” distribuiti anch’essi … in modo diverso!

Con il termine “talento” si intendeva sia un’unità di misura di peso vigente nell’antica Grecia che corrispondeva a circa 26 kg, che una moneta di metallo prezioso equivalente a più di 20 kg d’argento quantificabile in circa 20 anni lavorativi di un operaio. Queste precisazioni ci permettono di individuare sia l’incalcolabile ricchezza del “signore”, sia la fiducia irrazionale che lui ripone nei servi assegnando loro l’amministrazione di un capitale che nemmeno nella totalità della vita avrebbero mai accumulato. E l’assurdo è che agli occhi del “signore” la quantità di “beni” che i servi hanno custodito e fatto fruttificare è “poco”. Quindi c’è una netta sproporzione tra la realtà dei fatti e la visione del “signore” che considera “poco” ciò che per un uomo non è raggiungibile in vita, eppure la fedeltà a quel “poco” gli causa di entrare a far “parte della gioia del suo signore”. Ma questo avviene al ritorno del “signore” cioè “dopo molto tempo”, dettaglio questo che ci conferma ulteriormente la continuità del messaggio della parabola delle 10 vergini con questa dei talenti. E come tra le vergini c’è un gruppo di sagge e uno di stolte, anche qui tra i tre servi, ce ne sono due intraprendenti e disponibili a rischiare e uno ostinatamente chiuso nelle sue opinioni non fruttifere. I due servi investitori, presentano il guadagno e tacciono perché le loro opere parlano. Il servo che non ha investito deve invece giustificarsi e nel farlo aggrava ancor più il suo stato di orgoglio perché, anziché attribuirsi la viltà del suo atteggiamento, incolpa il “signore” di essere “un uomo duro” evidenziando anche un’errata opinione del “signore” che, al contrario, ha dimostrato di essere buono e fieramente fiducioso dei suoi servi. Apparentemente il servo non ha fatto nulla di male perché restituisce il talento che aveva in custodia dal “signore”, ma così come è strutturato il racconto si evince che la confidenza non era solo riposta nell’onestà dei servi, ma anche sulle loro “capacità” perché la parabola inizia informando infatti che ne diede secondo “le capacità di ognuno”. A questo punto, come per le vergini, ci sono due conseguenze: chi è dentro e chi è fuori, “prender parte alla gioia del signore” o star “fuori nelle tenebre dove sarà pianto e stridore di denti”. La “gioia” e lo “stridore dei denti” rendono perfettamente l’idea: la “gioia”, nel greco neotestamentario, traduce l’equivalente ebraico (ghil) che è per lo più presente nei Salmi ed abbinato quindi alla lode. Di contro lo “stridore dei dent” indica l’impossibilità all’espressione della gioia e quindi alla lode di Dio. Inoltre, il sostantivo “gioia” (charà) ha la stessa radice di “grazia” (charis) , per cui comprende in sé lo stato della gioia di chi è in comunione con Dio, già qui in terra. E allora cominciamo a tracciare un resoconto.

L’anno liturgico sta volgendo al termine, il Vangelo di Matteo sta per cedere il posto a quello di Marco che si ascolta nell’anno B, la parabola dei talenti è inserita nell’ultimo dei cinque “discorsi” di Gesù e prepara l’insegnamento sul “giudizio finale”. Noi siamo i “servi” e abbiamo tra le mani l’inestimabile e misterioso patrimonio che è la Parola, i Sacramenti e la Comunità.

Dovremmo quanto mai emozionarci all’idea che il Signore ha fiducia nelle nostre capacità di saper custodire e far fruttificare questi Doni. Perciò, come san Paolo esorta i Tessalonicesi, “non dormiamo come gli altri” e ispirati dall’esempio della “donna” del libro dei Proverbi adoperiamoci (in qualità, non in efficientismo) perché anche per il frutto delle nostre mani gli altri lodino il Signore. Quindi non riponiamo nella buca che è “la paura del rischio che blocca la creatività e la fecondità dell’amore. Perché la paura dei rischi dell’amore ci blocca … questa parabola ci sprona a non nascondere la nostra fede e la nostra appartenenza a Cristo, a non seppellire la Parola del Vangelo, ma a farla circolare nella nostra vita, nelle nostre relazioni … il Signore ci conosce personalmente e ci affida quello che è giusto per noi. Dio si fida di noi. Non deludiamolo!” (Papa Francesco 16.11.’14).

PRIMA LETTURA
Dal Libro dei Proverbi 31, 10-13. 19-20. 30-31

SALMO RESPONSORIALE
Salmo 127

SECONDA LETTURA
I Lettera di Paolo ai tessalonicesi 5.1-6

VANGELO
Dal Vangelo di Matteo 25, 14-30

 

AUTORE: Giuseppina Bruscolotti