La peggiore delle idolatrie

Le prime due domeniche di Quaresima, ogni anno, seppur con evangelisti diversi, ci presentano un passaggio obbligato per raggiungere la Pasqua: il brano delle tentazioni e il Vangelo della Trasfigurazione. Dalla terza domenica, ogni anno segue un suo percorso. Quest’anno ci viene proposta, dall’evangelista Giovanni, la prima salita di Gesù a Gerusalemme per la Pasqua (Gv 2,13-25). Questa prima Pasqua di Gesù, raccontata dal Vangelo di questa domenica, è identificata con la purificazione del Tempio.

Gesù caccia i mercanti del tempio

Fa un certo scalpore leggere e immaginare la scena in cui Gesù caccia i mercanti del tempio (Gv 2,15-16). Un fatto che troviamo narrato in tutti e quattro i Vangeli. Matteo, Marco e Luca collocano questa scena dopo l’ingresso di Gesù a Gerusalemme, Giovanni nel contesto della prima Pasqua.

A segnare una certa continuità con il Vangelo di domenica scorsa è il rimando a dopo la Risurrezione, la comprensione di alcuni fatti e alcune affermazioni di Gesù. Dopo la Trasfigurazione, Gesù chiede ai suoi di parlare di quanto hanno visto solo “dopo che il Figlio dell’uomo fosse risorto dai morti” (Mc 9,9).

Nel brano di questa domenica i discepoli ricordano le parole di Gesù riguardo l’identificazione del suo corpo con il tempio, ma solo dopo che “fu risuscitato dai morti” (Gv 2,22). È evidente che l’evento della Risurrezione è la chiave di lettura e di comprensione della vita di Gesù. Ogni suo gesto, ogni sua parola escono dal buio della contingenza del presente per mezzo della luce che sconfigge le tenebre. Alla Sua luce vediamo la luce, ci ricorda il Salmo (36,10) e con essa possiamo leggere l’intera storia della salvezza.

Le profezie, la Legge preparano e anticipano la venuta del Messia e in lui trovano compimento. Abbiamo riscontrato nel racconto della Trasfigurazione, domenica scorsa, quanto appena enunciato: Gesù è trasfigurato e conversa con Mosè ed Elia (Mc 9,4).

Il Concilio Vaticano II stesso insegna nella Costituzione Dei Verbum che il Nuovo Testamento, in particolare il Vangelo, è nascosto nell’Antico Testamento e che quest’ultimo è svelato nel Nuovo (DV 16).

La legge, parte della Rivelazione

La Legge, che ci viene presentata nella prima lettura, è parte della Rivelazione. Dio parla al suo popolo tramite Mosè, lo libera dalla schiavitù dell’Egitto, gli ridona la libertà e gli fa dono della legge.

Le “dieci parole” (Decalogo) non sono privazione della libertà, ma custodia del dono che è la libertà, la quale si traduce nella possibilità di amare l’unico e vero Dio (Es 20,2-5). Infatti, lo sguardo del popolo d’Israele su questo dono è cantato nel Salmo: “I precetti del Signore sono retti, fanno gioire il cuore” (Sal 19,9).

I comandamenti superano la vendetta, seppur già regolata dall’antica legge dell’“occhio per occhio e dente per dente”. Anzi, la stessa legge rivelata nelle “dieci parole” è superata dalla legge dell’amore. Quest’ultima sintesi non è un nuovo testo, ma è la vita stessa di Gesù: lui è la parola definitiva, declinata nel Vangelo delle beatitudini. Gesù dirà di sé che non è venuto ad abolire la legge e i profeti, né ad abolire i comandamenti, ma a dare compimento (Mt 5,17).

Dai 10 comandamenti al comandamento dell’amore

Dai comandamenti si passa al comandamento dell’amore. E la via di accesso è la via crucis, come ci ricorda Paolo nella prima lettura : la croce è “scandalo per i giudei e stoltezza per i pagani” (1Cor 1,23). Gesù è uno scandalo per chi non si “sintonizza” sulla lunghezza d’onda del suo insegnamento, fatto di parole e di gesti rivelativi. È uno scandalo la sua azione purificatrice del tempio di Gersalemme narrato questa domenica, è uno scandalo la sua morte in croce, è un assurdo la sua risurrezione.

Paolo ad Atene, nell’aeropago, ha tentato di annunciare la resurrezione di Cristo ai sapienti, ma “quando sentirono parlare di risurrezione dei morti, alcuni lo deridevano, altri dicevano: ‘Su questo ti sentiremo un’altra volta’” (At 17,32). La stoltezza dei pagani di Atene è in qualche modo meno grave dello scandalo degli ebrei, che immaginano ancora un Messia trionfante e di parte. Non lo comprendono nella logica di colui che prende le parti di deboli e poveri, non lo accettano perché sovverte il potere religioso, che tra l’altro si accompagna a quello politico e ne trova giovamento economico. Ecco il significato della purificazione del Tempio, divenuto un mercato. Gesù dirà: “Non fate della casa del Padre mio un mercato” (Gv 2,16), ed è questa la vera idolatria. Il Decalogo inizia proprio con questa parola: “Non avrai altri dèi di fronte a me, non ti farai idolo né immagine alcuna di quanto è lassù nel cielo, né di quanto è quaggiù sulla terra”.

Non c’è peggior idolatria di quella “religiosa”, ossia divinizzare ciò che è transitorio. Vale per i nostri dogmi pastorali, vale per i nostri confini parrocchiali, vale anche, forse, per i confini diocesani della nostra Chiesa umbra.