La strada stretta

Lo spontaneo e immediato riflesso di unità di fronte alla strage terroristica di Nassiriya se non allevia il dolore e la costernazione, certo rappresenta un momento importante per il Paese. Impone di mettere le cose in ordine, di ristabilire una gerarchia dei valori pubblici e politici, impone di guardare con saggezza e con realismo a un futuro che si presenta ricco di nuove responsabilità per l’Italia in un quadro internazionale non certo facile. Il dolore e la partecipazione dei cittadini insomma sembra riposizionare il dibattito politico sulle questioni veramente importanti, su toni alti. Perché la strage terroristica di 19 tra carabinieri, soldati dell’esercito e civili italiani (e di 9 civili iracheni) ci fa sentire tutti quanti un po’ più vulnerabili e dunque ci spinge a rilanciare i vincoli della comunità nazionale. E anche a supporre che l’Italia, disposta a pagare un carissimo prezzo in vite umane, può anche dire qualcosa a proposito di quello che risulta sempre più un rebus irrisolvibile, quello di un lunghissimo dopoguerra che assomiglia ormai sempre di più a una guerra vera e propria, a partire dal bollettino delle vittime. Proprio l’immediata e corale reazione popolare dimostra che l’unica legittimazione dell’intervento italiano in Iraq era legata all’azione di pace e di ricostruzione umanitaria: se essa era chiarissima anche alle truppe di Nassiriya, certamente si inseriva in un contesto politico militare solo a posteriori legittimato dalle Nazioni Unite ed ancora del tutto disarticolato. Di qui, da questa nostra identità profonda, occorre muovere per disegnare la strada stretta di una presenza e di una iniziativa nel contesto internazionale e sul territorio iracheno che apra prospettive di soluzione e di vera ricostruzione. Il tutto infatti è ulteriormente complicato dal terrorismo, che sembra avere trovato proprio nell’Iraq, devastato da una guerra “unilaterale” che non sembra avere centrato finora alcuno dei suoi obiettivi, una base di elezione: il terrorismo, come è stato giustamente osservato, non si vince con una strategia militare classica, con l’occupazione territoriale, ma piuttosto con il controterrorismo e comunque facendone venire meno le cause. Certo quest’ultimo è un impegno oltremodo arduo: è certo che, avendo il terrorismo islamico una serie di motivazioni pseudoreligiose, comporta la necessità di costruire rapporti con i popoli islamici basati sul reciproco rispetto e anche sulla collaborazione per lo sviluppo economico e civile, come condizione per immaginare un futuro di pace. Questo impegno, tuttavia, è nell’indole profonda del popolo italiano, nella sua identità. Le vittime di Nassiriya hanno donato la vita per questo, come è emerso con toccante evidenza nelle testimonianze dei feriti. E tutta l’Italia è stretta intorno a loro.

AUTORE: Francesco Bonini