Lavoro “smart” sì, ma con cautela

Rosita Garzi, sociologa ricercatrice all’Università degli studi di Perugia si occupa di sociologia del lavoro e ha coltivato una particolare attenzione alle dinamiche sociologiche che coinvolgono le famiglie.

Dopo due mesi di chiusura delle scuole e di lavoro da casa (lo chiamano smart working) è molto preoccupata perché molto probabilmente, se non riapriranno presto scuole centri estivi e simili, lei sarà penalizzata rispetto ai colleghi e alle colleghe che non hanno dovuto occuparsi della casa, dei figli (mangiare, vestire, giocare, studiare ecc) o di parenti con malattia, e che quindi hanno potuto dedicarsi a tempo pieno, o comunque con maggiore serenità e concentrazione, allo studio e alla ricerca.

Insomma vive in prima persona le difficoltà che le famiglie affrontano quotidianamente e che sono oggetto anche dei suoi studi.

L’abbiamo intervistata.

Si apre la fase2 e sappiamo che sarà segnata dalla crisi: cosa avrà di particolare?

“Non sappiamo bene come andranno le cose. Nella storia della società post-moderna non esiste un periodo storico confrontabile con questo, dal quale si possa prendere qualche spunto di riflessione per capire come andranno le cose. Ora tutto dipende da cosa avremo imparato in questo tempo. Abbiamo avuto due mesi di stop, di lockdown come suole dire oggi, dove una parte dell’economia e del lavoro però non si è mai fermata, imparando a convivere con nuovi DPI (macherine, occhiali, guanti, …), nuovi comportamenti, nuove abitudini e anche una nuova organizzazione.

Penso non solo a chi ha continuato a recarsi sul posto di lavoro per garantire la “sopravvivenza” alla società civile, ma anche a chi ha continuato a lavorare da casa in telelavoro (via internet nelle ore lavorative previste da contratto) o a chi ha si è ritrovato in smart working facendo i conti con una nuova modalità lavorativa, che impone un’organizzazione diversa dei tempi lavorativi e dei tempi di vita privata”.

Si è parlato molto di smart working ma non per tutti è stata una esperienza positiva…

“Nello smart working c’è un’assunzione personale di responsabilità sugli obiettivi da raggiungere e i lavoratori si sono dovuti adattare e gestire tempi e obiettivi. Ognuno per la sua parte ha dovuto fare il proprio.

Qualcuno si è appassionato, trovando nella propria casa un luogo tranquillo dove lavorare senza doversi alzare troppo presto, senza mettersi in viaggio dentro mezzi di trasporto stressanti e inquinanti, riducendo le spese, avendo più tempo libero per qualche piccola passione e abbassando i livelli di stress.

Qualcun’altro invece lo ha subito, perché dentro casa non era proprio libero di organizzarsi lavorando da un tavolo della cucina anche con figli urlanti o coniugi infastiditi che si lamentavano in sottofondo, e questo ha rappresentato una fonte di stress in più. Da questo dobbiamo imparare. Ci sono costi e benefici di queste nuove modalità di lavoro, ma credo che sia bene farne tesoro e ripartire da quanto imparato per improntare modelli organizzativi ‘personalizzati’. Perché ora sembra possibile”.

La pandemia ha costretto a cambiare cambiare rapidamente stili lavorativi senza pensarci troppo. Non crede sia necessario anche cambiare la cultura del lavoro?

“Credo si apraora un tempo in cui anche i dirigenti, i datori di lavori, i capi, e tutti coloro che a vario titolo hanno responsabilità, possono impostare un modello organizzativo più ragionato, basato sul fatto che hanno imparato a fidarsi dei propri lavoratori a distanza.

Certo il telelavoro non è possibile per tutti i settori, penso per esempio all’agricoltura, al manifatturiero, ai servizi, agli operatori sanitari, i soccorritori, ai commessi dei negozi, ai fattorini, e anche ad altri, ma per molti tante possibilità si sono aperte”.

Non c’è il rischio di esagerare? Molti non vedono l’ora di tornare in ufficio …

“La dimensione della socievolezza va conservata e la cultura organizzativa si apprende stando al lavoro. Abitudini, comportamenti, valori, norme, sono tutti appresi nella socializzazione organizzativa e questa si struttura in ‘comunità’, dentro l’organizzazione, con le persone, respirando il clima lavorativo. Anche la creatività e il problem solving soffrono quando i lavoratori sono isolati gli uni dagli altri. Le idee diminuiscono e ci si sente soli, il lavoro può diventare più noioso.

Su questi aspetti ci sono tanti studi scientifici sociologici e psicologici che ci aiutano a riflettere. Insomma impariamo dall’esperienza, facciamo tesoro dei benefici acquisiti e riprendiamo a lavorare sfruttando tutte le competenze apprese e le possibilità ormai validate e probabilmente ne gioveremo tutti”.

Riprende il lavoro ma le famiglie con figli sono in difficoltà con le scuole chiuse e i campi estivi ancora incerti: cosa possono/devono fare Governo, Regione, Comuni, per sostenere il ritorno al lavoro?

“Le famiglie in questo periodo sono particolarmente messe alla prova. Parlo al presente perché la loro prova non è certo finita. Scuola e centri estivi sono una certezza per le famiglie. La possibilità di andare al lavoro è spesso garantita proprio da questi.

Ad oggi non c’è una visione a medio termine, non si sa bene cosa accadrà nei mesi più caldi. Sappiamo però che qualcosa si potrebbe anche prevedere. Il fatto che in estate si possa stare all’aria aperta potrebbe consentire di organizzare qualcosa per i bambini ma ancora non sappiamo cosa il Governo deciderà.

Le famiglie sono sempre più provate. Ci vorrebbe chiarezza. Anche sapere che cosa si sta pensando di fare ridarebbe fiducia a tutti. Perché qualcosa va fatto per le famiglie e non si può pensare che se la caveranno da sole. I nonni non possono essere ancora una volta messi in prima linea”.

Chi soffrirà di più la crisi?

“Probabilmente le donne saranno più penalizzate. Questa crisi ha aumentato gli oneri per le donne e anche per le madri lavoratrici e non. Si sono trovate a casa a gestire le attività domestiche senza aiuti extra familiari, e oltre a questo si sono dovute far carico anche della scuola. Non sempre sole, anche i padri hanno subito questa didattica a distanza con non poche difficoltà”.

Alcuni osservatori evidenziano che di fronte alla crisi le donne sono più a rischio di lasciare o perdere il lavoro. È così?

“In un’ottica razionale ed economica, a rinunciare al lavoro potrebbe essere proprio chi ha il contratto meno stabile e la retribuzione più bassa, e sappiamo che nella maggior parte proprio le donne sono in queste condizioni.

I dati dell’Istat relativi all’ultimo periodo prima dell’emergenza COVID 19, registravano un tasso di occupazione femminile in generale più basso di oltre 15% rispetto a quello maschile, e la differenza saliva dove ci sono figli aumentando ancora col crescere del numero dei figli. Per non parlare poi delle statistiche relative alla tipologia di contratto e ai livelli retributivi.

Oltre il 30% delle donne lavora part-time (a fronte di una parte inferiore al 10% degli uomini) e secondo il Gender Gap Report 2019 (Osservatorio JobPricing con Spring Professional), a parità di lavoro e di ruolo professionale con un uomo, una donna arriva a guadagnare anche il 10% in meno”.

Dunque l’esito è scontato …

“In base a questi dati disponibili però non risulta difficile comprendere quale sia lo stipendio da sacrificare in presenza di una crisi economica e di difficoltà nella gestione dei figli, col risultato che il gender gap anziché diminuire tornerà ad aumentare”.

Maria Rita Valli

P.S.

Dopo l’intervista, il 14 maggio, il Senato ha approvato misure straordinarie a sostegno del lavoro femminile. “La prima cosa è che ci aspettiamo una risposta da tutto il Governo, perché questa è una mozione esprime un cambio di mentalità e di approccio a tutto il Governo e tutti i Ministeri; è trasversale. Poi – ha detto a Il Sole 24Ore la prima firmataria del documento, Donatella Conzatti – ci aspettiamo che diano risposte molto concrete” alle richieste “molto puntuali e su vari settori” che sono state avanzate, senza penalizzazioni reddituali o di carriera. Nella notizia pubblicata dal sito valored.it si sottolinea anche che il dibattito si è svolto quasi esclusivamente tra senatrici, dunque “la sfida adesso è coinvolgere il maschile”.