Nella prima e terza lettura di questa domenica emerge il tema del potere temporale in relazione con Dio. Esso viene presentato da due prospettive diverse: Isaia parla del re Ciro che, pur non conoscendo il Dio d’Israele, realizza con le sue gesta il disegno di Dio; si afferma così che Dio è il Signore che guida la storia. Nel Vangelo invece viene lumeggiata l’autonomia (la libertà) dell’agire umano nella storia, esemplificata dal rispetto delle regole imposte dal potere temporale: “dare a Cesare quello che è di Cesare”, accanto alla riaffermazione di “dare a Dio quello che è di Dio”.
Nella seconda lettura il taglio è di esortazione a praticare le virtù teologali e di fiducia nell’amore di Dio e nel Suo aiuto tramite lo Spirito. Prosegue il tema del regno di Dio, la sua supremazia su tutto, che si esercita e si realizza tramite Cristo su tutte le realtà, anche quelle influenzate dall’agire umano nella storia; che pur nel rispetto delle sue regole intrinseche, sono comunque orientate e finalizzate alla costruzione del Regno.
La risposta di Gesù presentata nel Vangelo, pur sollecitata dalla contingenza di una polemica verso i suoi interlocutori, ha come conseguenza la negazione che il Regno si debba costruire in un ambito teocratico, collegato strettamente alla realtà di Israele. Sia pure indirettamente, viene quindi affermato che anche altri popoli ne potranno far parte.
Immediato è il confronto con il mondo dell’islam, dove la distinzione tra dimensione religiosa della vita e autonomia delle istituzioni non è (ancora) stabilita; anzi gli attuali rigurgiti di integralismo, con le sue drammatiche conseguenze, appaiono suscitare ancora un certo seguito. Ne consegue che la “tentazione” di annoverare tutte le religioni (cristiana inclusa) tra le cause dei conflitti nel mondo, già ampiamente presente almeno in certi ambienti “laici”, risulta confermata ed ampliata. È opportuno che i cristiani “difendano” con chiarezza che la loro concezione della società rifugge totalmente da ogni logica di conflitto che abbia a fondamento il credo religioso.
Bisogna adoperarsi per ben interpretare e, quando necessario, fare ammenda di varie vicende del passato in cui religione e violenza e intolleranza a volte sono apparse interconnesse. È importante riaffermare che gli eventuali “errori” sono in relazione con i limiti dell’uomo e non con la natura in sé del cristianesimo. Ma, accanto a questo, appare ancora più importante un discorso di “proposizione”. Il messaggio cristiano, i cristiani nelle loro azioni, sono realmente capaci di collaborare allo sviluppo della pace e della società civile? La formula cristiana (primato del Regno, “autonomia” dell’agire umano nella storia) può essere una ragionevole e credibile proposta per la società civile? Non si può ignorare che nel mondo islamico, anche al di fuori di atteggiamenti di violenza conclamata, ci sono gruppi che propongono un loro modello di società basata sul Corano, considerandolo il modello “giusto”, esportabile anche in altre realtà.
Questa impostazione appare lontana dalla realtà cristiana. La “civiltà” cristiana è stata una realtà per secoli. Esprimere un giudizio su tale realtà non è nostro compito; ma probabilmente non è possibile formulare una valutazione univoca fondata su criteri incontrovertibili. Non appare evidente quindi un modello di società “cristiana” cui far riferimento. Ma sul tema c’è l’insegnamento della Chiesa (Papa Francesco in primis); ci sono varie testimonianze di singole persone e di gruppi che hanno intrapreso un cammino di impegno civile ispirato credibilmente a una visione cristiana, e che sono un esempio e un incoraggiamento per noi tutti. A ciascuno il compito di proseguire per questa strada che, sia pure non definita, presenta alcuni punti luminosi di orientamento, nella speranza che Chi guida la storia ci sostenga in questo incerto e faticoso cammino di collaborazione alla costruzione del Regno.