Lo scandalo di un Dio troppo vicino

Commento alla liturgia della Domenica a cura di Oscar Battaglia XIV Domenica del tempo ordinario - anno B

Il Vangelo di oggi si pone sullo sfondo dei miracoli narrati nelle domeniche precedenti: ieri, come oggi, Gesù partecipa all’altalena umana di accoglienza e di rifiuto, di entusiasmo e di indifferenza, di certezze e di dubbi che Marco ci segnala. Il rifiuto degli abitanti di Nazareth è diverso da quello dei Gadareni. Là Gesù aveva compiuto l’esorcismo più spettacolare della sua vita, liberando la regione da un pazzo furioso, ma lo ritennero addirittura pericoloso per la loro economia per la chiara preferenza data all’uomo sulle proprietà. A Nazareth il rifiuto nasce dall’esperienza troppo ordinaria che egli ha vissuto fra loro. Non riescono a credere che Dio possa essere così vicino, addirittura vivere nella porta accanto e vestire i panni di un artigiano che si guadagna il pane come loro. A Nazareth si consuma lo scandalo del Messia, Figlio di Dio, che ha preso troppo sul serio la nostra condizione di uomo tra gli uomini.

Viene spontaneo ricordare la frase del Vangelo di Giovanni: “Venne fra i suoi, e i suoi non l’hanno accolto” (Gv 1,11). È il rischio che corriamo noi credenti: dimenticare e rifiutare un Dio troppo vicino e disponibile. Vorremmo un Dio lontano, che non disturba le nostre scelte e non interferisce troppo nella nostra vita. Un Dio tappabuchi. Il racconto di Marco è pieno di interrogativi che ci interpellano proprio su questo versante. Gesù viene a Nazareth, dove vivono ancora sua madre e i suoi parenti. Viene per incontrare persone amate e conosciute, di cui sente la nostalgia. Di sabato, entra nella sinagoga per celebravi il culto festivo come era solito fare fin da bambino. Questa volta però è preceduto dalla fama di maestro e di taumaturgo, perciò la sua predica, a commento delle letture bibliche, è particolarmente attesa e ascoltata. È cambiato molto da quando, ragazzo, veniva in sinagoga con suo padre tutti i sabati. Il falegname di una volta è ora un vero maestro che parla in modo meraviglioso. Tutti sono presi da stupore. Lo strano però è che non riflettono e discutono su ciò che egli ha detto, ma sulla sua persona e sulle sue umili origini.

È un cattivo vezzo di chi evade dalle proprie responsabilità morali. Pongono cinque interrogativi: i primi tre riguardano lui, gli altri due riguardano la sua famiglia. Tutti nascono dal dubbio e dal sospetto. Quel giovane rabbi dove è stato a scuola per imparare tutte le cose che dice? Per quanto loro ne sappiano, ha frequentato solo la scuola elementare del villaggio, come tutti. Non c’è alternativa: la sua cultura e la sua sapienza o viene da Dio o dal diavolo. Nel secondo caso ha dovuto vendere l’anima al demonio. E poi da dove vengono i prodigi che compie con le sue mani? Non saranno esercizio di magia? È meglio stare in guardia. Pretende di essere il Messia promesso, ma si è montato la testa, e non si accorge di essere strumento del diavolo. Quei paesani sospettosi non immaginano nemmeno che egli veniva da Dio, e negli anni in cui era vissuto tra loro aveva avuto come maestro e guida il Padre che è nei cieli. A quella scuola ‘era cresciuto in sapienza, età e grazia presso Dio e presso gli uomini’ (Lc 2,52). Che dire poi della sua famiglia? “Non è il falegname, il figlio di Maria, il fratello di Giacomo, di Joses, di Giuda e di Simone? E le sue sorelle non stanno qui tra noi?”.

Fino a poco tempo prima Gesù aveva esercitato l’umile mestiere di artigiano / falegname. Molti dei presenti lo avevano visto lavorare nella bottega di Giuseppe e lo avevano chiamato in casa per lavori di manutenzione o di riparazione. Allora era solo un giovane bravo e laborioso; nulla di più. Che è accaduto nel frattempo? Non sanno capacitarsi come, nella loro società statica, lui potesse aver cambiato ruolo. Lì chi era nato falegname, doveva morire falegname; era proibito a chiunque salire nella scala sociale. Destava sospetto e invidia nell’ambiente paesano, così chiuso, questa promozione da falegname a rabbi. Si sovvertivano le regole del gioco, non era ammissibile. Le umili origini di Gesù sono certificate dalla parentela che tutti conoscono. La menzione dei fratelli ha indotto alcuni esegeti protestanti a pensare che Maria abbia avuto altri figli da Giuseppe, dopo la nascita di Gesù. Sarebbero qui nominati quattro fratelli e un numero imprecisato di sorelle.

La cosa sembra smentita proprio dagli stessi abitanti di Nazareth che parlano di Gesù come “il figlio di Maria”‘ (con l’articolo determinativo), e non come “un figlio di Maria” (in modo indeterminato). D’altra parte, se Maria avesse avuto altri figli, sarebbe stato più spontaneo per loro aggiungere: “E gli altri figli di Maria non sono qui tra noi?” anziché dire: “E i suoi fratelli non sono qui tra noi?”. È degno di nota il fatto che i compaesani, così attaccati alle tradizioni, designino stranamente Gesù con il nome di sua madre: “il figlio di Maria”. I figli erano nominati sempre con il nome del loro padre: “il figlio di Giuseppe”. Ciò si può spiegare solo pensando che Maria fosse già vedova e Giuseppe fosse già morto. Nella società giudaica del tempo i parenti più prossimi erano indicati con il nome di ‘fratelli’, perché nelle lingue semitiche non esiste uno specifico termine per indicare cugini e parenti stretti.

Il fenomeno è attestato molte volte nella Bibbia. Si tratta dunque di cugini di Gesù, non di fratelli naturali. Infatti due dei quattro personaggi qui nominati: Giacomo e Joses, sono indicati da Marco come figli di un’altra Maria, moglie di Cleofa. La loro madre sarà segnalata sul Calvario e davanti al sepolcro con altre donne in questo modo: “C’erano alcune donne che stavano ad osservare da lontano, tra le quali Maria di Magdala, Maria madre di Giacomo il minore e di Joses” (Mc 15,40). “Intanto Maria di Magdala e Maria madre di Joses stavano ad osservare dove veniva deposto” (15,47). Anche Giovanni, descrivendo la stessa scena, designa le donne presenti così: “Stavano presso la croce di Gesù sua madre, la sorella di sua madre, Maria di Cleofa e Maria di Magdala” (Gv 19,26s).

È evidente che Maria di Cleofa è la madre di Giacomo e di Joses (Giuseppe). Questa Maria da alcuni è identificata con la sorella della madre di Gesù e porta lo stesso suo nome, caso non infrequente. Altri pensano che Cleofa sia fratello di Giuseppe. Comunque i personaggi indicati come fratelli sono in realtà cugini di Gesù. C’è da aggiungere un particolare: Gesù sulla croce lascia sua madre in consegna a Giovanni. Sarebbe stato assurdo per la mentalità del tempo, affidare la madre a un estraneo, se Maria avesse avuto altri figli. Da questo ambiente ricco di legami familiari Gesù non è accolto. Egli stesso lo constata citando un proverbio: “Un profeta non è disprezzato se non nella sua patria, tra i suoi parenti e in casa sua”. L’incredulità gli lega le mani e gli impedisce di compiere miracoli, perché i miracoli hanno come presupposto la fede (5,34.36). Dio non forza la sua mano, ci lascia sempre la libertà di scelta. Così resta intatta la responsabilità della durezza del cuore in persone prevenute, vittime di invincibili condizionamenti ideologici e culturali. Credere in Cristo è impegnativo; richiede coraggio e libertà di spirito.

AUTORE: Oscar Battaglia