Lo spirito missionario travalica le frontiere

La Giornata missionaria 2008 verrà celebrata all'interno dell'Anno paolino. Padre Piero Gheddo analizza il profondo legame tra i due eventi

San Paolo, l’apostolo delle genti, non è una figura del passato, ma un maestro che non si è scoraggiato di proclamare il Vangelo e la fede in Cristo ovunque, in mezzo a difficoltà e pericoli. Può quindi essere un modello per il missionario di oggi? La domanda l’abbiamo rivolta al missionario del Pime padre Piero Gheddo all’inizio di questo ottobre missionario che cade nell’Anno paolino. Qual è l’insegnamento di san Paolo, oggi, per i missionari? ‘È più che giusto considerare san Paolo il modello del missionario alle genti, cioè del missionario autentico che va tra i non cristiani. È stato prescelto da Cristo per questa sua missione, come ricorda più volte lo stesso Paolo nei suoi scritti. Un primo insegnamento ai missionari di oggi è che san Paolo guardava oltre le frontiere, a tutto il mondo allora conosciuto. Per quel tempo i viaggi che l’Apostolo sostenne erano molto faticosi e pericolosi. Oggi c’è la tendenza negli istituti missionari a pensare: anche da noi si sta perdendo la fede. Di qui l’idea che è inutile andare ad annunziare Cristo agli abitanti dell’Asia, dell’Africa, dell’Oceania. Ma se tutti gli apostoli avessero ragionato così, sarebbero restati a Gerusalemme a convertire solo gli ebrei. San Paolo rompe questo schema’. L’esempio dell’Apostolo delle genti è molto importante per l’oggi anche perché ci mostra un uomo innamorato di Cristo. ‘Gli esegeti hanno contato nelle lettere di san Paolo 164 volte l’espressione ‘in Cristo’: tutta la sua vita era fondata sull’amore a Cristo ed è stato mandato per annunziare Gesù Cristo. La missione nasce da questo, dal profondo amore per Cristo e dalla coscienza che Gesù è l’unica ricchezza che abbiamo. Questo è un insegnamento valido anche oggi, perché la tentazione del mondo moderno, che influenza anche noi missionari, è di secolarizzare la salvezza. In questo mondo secolarizzato non è in crisi la fede in Dio o l’ammirazione per la Chiesa che fa del bene, aiuta i piccoli, i poveri, i drogati, ma è in discussione la fede in Gesù Cristo, unico salvatore dell’uomo e del mondo. La secolarizzazione della salvezza è il tentativo di ridurre il messaggio di Cristo a una sapienza umana, alla scienza del buon vivere. Quasi la Chiesa fosse una specie di Croce rossa che aiuta tutti. A chi dice che può bastare amare i poveri, soccorrere gli ultimi, promuovere la giustizia sociale, fare la lotta alle armi e al debito estero, con san Paolo possiamo rispondere che tutto ciò è giusto, ma non si deve mettere tra parentesi la fede in Cristo. La missione è proprio annunciare Gesù Cristo. San Paolo aveva lo scopo di portare la salvezza di Cristo agli uomini, non un fine politico, sociale o economico. Poi, accogliere Gesù Cristo porta anche un miglioramento della vita, perché la legge dell’amore comanda di rinunciare a se stessi; quindi un insegnamento importante oggi, perché ha delle ricadute concrete’. Due parole chiave di san Paolo sono libertà e responsabilità. Si tratta di due atteggiamenti che caratterizzano anche la vita dei missionari? ‘La missione, dovendo fondare la Chiesa, ha molte difficoltà: deve affrontare la persecuzione e il martirio, ma il missionario è anche più libero, può dare spazio alla creatività e all’inventiva. L’annuncio di Cristo deve essere sempre nuovo, sempre flessibile per poter attirare persone di culture, mentalità, storie diverse. Tra i missionari c’è una varietà enorme di metodi apostolici per poter compiere la missione stessa. L’importante è superare la tentazione di privilegiare solo l’aspetto caritativo. Faccio un esempio. Molti anni fa sono andato a visitare un lebbrosario che le Missionarie dell’Immacolata (Pime) avevano fondato nell’India dei paria a Vegavaram, nello Stato dell’Andhra Pradesh. Era un ospedale moderno in un luogo in cui non c’era nulla. Lo Stato ha mandato una commissione di tre medici per valutare l’operato della nuova fondazione e dare l’approvazione. Alla fine, i medici hanno parlato con la superiora italiana e le hanno chiesto perché le Missionarie dell’Immacolata avessero costruito l’ospedale in una landa desolata dove la gente non poteva dare niente. La risposta è stata: ‘Abbiamo fatto questo per amore di Cristo’. La carità è sempre legata all’annuncio di Cristo’.