L’umile coraggio di Benedetto XVI

Mons. Gualtiero Sigismondi
Mons. Gualtiero Sigismondi

L’attesa orante dell’inizio del Conclave vede concorde tutta la Chiesa, stupita e ammirata dalla testimonianza di “infallibile umiltà” resa da Benedetto XVI. Egli ha compiuto un “gesto di magistero supremo” che ha valore profetico: si configura cioè come una vera e propria raffica di vento dello Spirito che sollecita la Chiesa ad un recupero di semplicità, ad un ritorno all’essenziale. Scendendo dalla Cattedra del beato Pietro, egli ha scosso come sgabelli i troni dei primi posti, a cui non hanno saputo resistere neppure gli apostoli (cf. Lc 9,46-48). “Il vero discepolo – ha affermato il Papa nell’omelia tenuta all’inizio della Quaresima – non serve se stesso o il pubblico, ma il suo Signore, nella semplicità e nella generosità”. La decisione di rinunciare al ministero di Vescovo di Roma, Benedetto XVI l’ha maturata coram Domino, nella “cripta” della sua coscienza, illuminata dalla Parola di Dio. Nel corso dell’ultima udienza generale, oltre a confidare di aver sperimentato, prendendo questa decisione, che “uno riceve la vita proprio quando la dona”, egli ha ribadito di aver compiuto questo passo “nella piena consapevolezza della sua gravità e anche novità, ma con una profonda serenità d’animo. Amare la Chiesa significa anche avere il coraggio di fare scelte difficili, sofferte, avendo sempre davanti il bene della Chiesa e non se stessi”. Dopo aver ricordato insistentemente alla Chiesa “il primato della preghiera, senza la quale tutto l’impegno dell’apostolato e della carità si riduce ad attivismo”, quella del silenzio è la lezione magistrale che “l’umile operaio nella Vigna del Signore” non rinuncia a tenere rimanendo “nascosto al mondo”. Con una vita dedicata alla preghiera, egli avrà come “cattedra” il silenzio: un silenzio in ascolto, un silenzio che si mantiene legato alla Parola, un silenzio umile. All’umiltà Benedetto XVI ha dedicato ampio spazio nel suo magistero, tenendo a precisare non solo che “la superbia è il nucleo del peccato originale”, ma anche che “l’assenza dell’umiltà distrugge l’unità”.

L’ultimo Angelus di Benedetto XVI
L’ultimo Angelus di Benedetto XVI

È disarmante l’umiltà con la quale, salutando il Collegio cardinalizio, ha già promesso al futuro Papa “incondizionata reverenza ed obbedienza”. Sant’Agostino – uno dei Padri della Chiesa tra i più amati da Benedetto XVI – commentando il Salmo 42 suggerisce un’immagine molto adatta ad interpretare il coraggio e l’umiltà del profondo silenzio in cui il “Papa emerito” si è immerso. “Dicono che i cervi, quando camminano nella loro mandria, oppure quando nuotando si dirigono verso altre regioni, appoggiano la testa gli uni sugli altri (…). Il primo che porta il peso del capo di quello che lo segue, quando è stanco, va in coda, in modo che il secondo diventa il primo e lui appoggiando la testa sull’ultimo possa riposarsi dalla sua stanchezza; in questo modo, portando alternativamente il peso, portano a termine il viaggio senza allontanarsi gli uni dagli altri”. Neanche Benedetto XVI si è allontanato: si è messo in coda e con le mani alzate della preghiera di intercessione sollecita la Chiesa ad attendere con fiduciosa speranza ciò che Dio dispone sul suo cammino. “Ho sempre saputo che la barca della Chiesa non è mia, non è nostra, ma è del Signore. E Lui non la lascia affondare; è Lui che la conduce, certamente anche attraverso gli uomini che ha scelto, perché così ha voluto”. Questo è, per così dire, il suo ultimo messaggio urbi et orbi, quasi una carezza alla Chiesa, la quale “non è un’organizzazione, un’associazione per fini religiosi o umanitari, ma un Corpo vivo, animato dallo Spirito”.

AUTORE: † Gualtiero Sigismondi Vescovo di Foligno