L’unico dato certo il flop del Premier

ELEZIONI EUROPEE il punto

Dopo la campagna elettorale, i risultati e i commenti, si può trarre qualche indicazione dalle elezioni appena avvenute. In breve: 1) Se teniamo conto della scarsa partecipazione alla consultazione europea e delle espressioni di voto “euroscettiche”, la valutazione non può che essere negativa. Non esiste infatti ancora una cultura della cittadinanza europea e l’Europa è lungi dall’essere avvertita come “casa comune”. Ha dominato ovunque l’attenzione ai problemi nazionali, anche come conseguenza del modo in cui la campagna elettorale è stata nella gran parte dei casi impostata. E anche il dibattito post-elettorale relega il tema dell’Europa ad appendice quasi retorica di altre questioni. L’Europa politica è molto più un’ideologia di comodo, quando lo è, che una realtà. I rapporti nel mondo si ampliano e si allargano, ma, come si è visto, i temi di interesse sovranazionale hanno poco o nessun impatto sulle opinioni pubbliche dei vari paesi; ragioniamo ancora, nel tempo del “villaggio globale”, con una mentalità tipica dello Stato-nazione. C’è qualche forza politica veramente intenzionata a prendere sul serio questo vuoto culturale? 2) Se teniamo conto della scala nazionale in relazione al nostro paese, direi che un tema sugli altri si impone, e cioè il come valutare il flop di Berlusconi, che è l’unico dato incontestabile di questa tornata elettorale. Si tratta, tout-court, del rigetto di una politica tutta impostata sull’enfasi della leadership carismatica di un personaggio-simbolo o della manifestazione dello scontento per una singola determinata personalità, fermo restando che ormai la lotta politica sembrerebbe non poter fare a meno di polarizzare l’attenzione sul carisma di un “capo”? Mi pare si possa dire che siamo di fronte al sommarsi di queste due possibili letture: non è stato solo bocciato un leader, ma un’idea della politica. È quell’idea per la quale la politica si riassume tutta nella dimensione che Popper ha chiamato “personalistica”, mentre dimentica gli aspetti legati alla progettualità, cioè alle cose concrete da fare, alle prospettive di trasformazione dell’esistente, alle strategie, al rapporto con la vita quotidiana dei cittadini. Ed è anche l’idea che punta ad identificare la politica con l’esibizione spettacolare, con l’ostentazione mass-mediatica, con i proclami virtuali, cioè con una sorta di vendita porta a porta dei prodotti di un mercato in cui si sommano (o si dovrebbero sommare) i grandi e i piccoli interessi. Si era potuto dire a suo tempo (a mio avviso con ragione) che il successo di Forza Italia era anche legato a un momento in cui la fragilità del costume democratico del nostro paese era risaltata con particolare evidenza. Oggi si deve correggere questo giudizio nel senso che è emersa in molti elettori, come il voto dimostra, la consapevolezza dell’errore compiuto nel lasciarsi attrarre da promesse il cui fascino era inversamente proporzionale alla possibilità di realizzarle in pratica e che nascevano dal tentativo (riuscito) di capitalizzare sulle oggettive difficoltà della situazione, economica, sociale, politica, in cui versava il paese, oltre che sugli errori compiuti dalla maggioranza allora al governo. Quanto detto sin qui è confermato dal fatto che, se Berlusconi perde, il centro-sinistra non vince. E non vince perché non è riuscito ad esprimere fino in fondo un modello di politica veramente alternativo a quello appena descritto; ha fatto emergere le contraddizioni della politica del governo di centro-destra e anche i pericoli che nascono per la democrazia dalla concentrazione di poteri in mano al capo dell’esecutivo, ma è ancora carente la “pars construens”, alla quale anche qui si finisce per supplire con l’accentuazione degli aspetti legati alla leadership e simili. Il “paese reale”, come si dice, ha mostrato di attendere altro e per questo, pur penalizzando Berlusconi, non ha premiato oltre un certo limite l’opposizione. La quale deve assumere questo risultato come banco di prova da cui partire per recuperare il terreno vero della politica, quello della serietà, della compostezza, dell’equilibrio, della mediazione, tutte cose alle quali per un tempo troppo lungo anch’essa si è sottratta.

AUTORE: Roberto Gatti