Maria, simbolo universale

All’ultima festa della patrona santa Cecilia, è stata presentata alla comunità l’opera “L’Albero della vita” del pittore locale Francesco Severini

È compito difficile, ma non impossibile, far sintesi di epoche diverse, soprattutto quando si entra nel campo dell’arte. Il pittore Francesco Severini, nel realizzare L’Albero della vita, ha compiuto davvero in modo felice questa preziosa sintesi. La bella tela raffigura quattro donne; solo una di esse reca il discreto attributo dell’aureola: è una donna che ha passato ormai il tempo della giovinezza e si avvia verso il periodo della maturità. È Maria, la madre del Signore, donna adulta nella fede, insieme sofferente e serena, colei che ha saputo congiungere gli estremi del cielo e della terra, della morte e della vita, dell’amore e del dolore. Con lei altre tre donne, tutte madri. La donna di sinistra, vagamente orientale, guarda verso l’alto: ci piace attribuire a lei l’identità di Sara, la moglie di Abramo, che, insieme al suo sposo, guardò alla Terra promessa e vide realizzare la sua impossibile speranza: il dono della maternità nel pieno della vecchiaia. Sara è il simbolo della Chiesa nata dalla fede del popolo ebraico, è la sposa senza macchia né ruga che gioisce per l’avvicinarsi di Cristo suo sposo. La donna di destra assorta nella preghiera, con lo sguardo rivolto verso il basso, assomma i caratteri delle donne anziane di tutta l’area mediterranea. Anch’essa può essere guardata come un’altra Sara orante, meditativa e silenziosa, certa del sereno compimento delle promesse di Dio. È la Chiesa sofferente a causa delle persecuzioni che provengono dall’esterno e dall’interno di essa, ma sicura nel suo passo verso l’eternità. La terza donna ha il volto di una nostra sorella (Mara) che è stata presa per mano da Colei che ci insegna a trasformare il nostro soffrire nel gesto dell’offrire. La bella intuizione di “fondere” in un unico abbraccio i colori delle vesti delle due donne centrali rende efficacemente l’idea di questa unione. Interessanti poi le citazioni dei grandi che hanno fatto grande l’arte cristiana: possiamo scorgere Piero della Francesca nel particolare dell’albero mezzo fiorito e mezzo secco, i paesaggi lievi e metafisici del Beato Angelico nel profilo azzurro di Acquasparta, l’allegoria Italia e Germania di Friedrich Overbeck nella stretta di mano tra Maria e Mara. Non mancano anche precise citazioni evangeliche nell’immagine dei tralci avvolti attorno alla vite, delle piaghe gloriose, segno di passione e di resurrezione che si aprono sul tronco tormentato. Infine mi è caro segnalare la presenza del piccolo pettirosso poggiato sul braccio destro della croce. Ricordo ancora la leggenda narratami da mia nonna su questo modesto animale delle nostre campagne: lui solo (più coraggioso di tutti gli uomini e di tutti gli altri animali) ebbe il coraggio di avvicinarsi a Gesù sulla croce per strappare col becco una delle spine della corona; nel compiere questo gesto di pietà verso il Signore morente, ebbe in sorte di aver il petto macchiato del sangue del Redentore… da allora tutti i figli generati dal piccolo animale portarono sul petto il segno della passione del Signore. Il piccolo pettirosso rompe la simmetria spietata della croce col suo minuscolo gesto di misericordia: ha il sapore e il ricordo della Veronica, del Cireneo… Ci ricorda quanto sia grande davanti a Dio essere vicini a chi soffre e quanto preziosa sia la morte dei suoi fedeli. Le quattro donne hanno anche un significato allegorico, rappresentano cioè tutti gli stadi della vita dell’umanità (la giovinezza, la maturità e la vecchiaia) sintetizzati in Maria. Possiamo leggere nella pregevolissima opera un inno alla maternità (umana e divina) dotato di grande originalità, armonizzato da un sapiente uso della tradizione artistica dell’arte cristiana occidentale: un’arte in cui l’osservatore non è mero spettatore, ma “attore”, protagonista; un’arte in cui si fondono la realtà e la promessa, il dono e l’attesa, la storia e l’eternità; un’arte che ha la vocazione di anticipare quella terra promessa verso la quale tutti siamo in cammino.

AUTORE: Don Alessandro Fortunati