Nel comunicare è il tono che conta

l'editoriale

Un vecchio proverbio francese: ‘C’est le ton qui fait la musique’ (È il tono che fa la musica) mi è ritornato in mente in occasione del Convegno che si sta svolgendo in questi giorni (13-16 novembre, vedi pagg. 6-7). Riflettiamo su molti aspetti che riguardano l’informazione attraverso i mass media, e ci interroghiamo su chi, come, quando, dove e perché qualcosa è accaduto. Facciamo evidentemente bene. È necessario essere ben informati e conoscere la verità, per quanto è umanamente possibile. Questo però non basta. Oltre all’informazione c’è il problema della comunicazione, che non si arresta al livello di fatti, dati e numeri, ma veicola e trasmette sensazioni, emozioni, stati d’animo. In politica ad esempio, come abbiamo scritto a proposito di Barack Obama, non basta informare i cittadini su che cosa si debba fare in un determinato momento storico, ma anche trasmettere l’idea che si possa riuscire – senza dire menzogne e senza creare illusioni – a offrire motivi di speranza. Anche nell’economia la fiducia è un elemento determinante. La questione quindi, oltre che ai contenuti, si riferisce a ciò che fa riferimento al linguaggio, al modo, allo stile, al tono con cui si comunica. Ciò vale ancor più per la comunicazione del fatto religioso e dei valori etici. Naturalmente il peso del contenuto del messaggio rimane prioritario, e resta un patto con la verità, da ricercare con scrupolo e lealtà. Questa però può lasciare indifferente l’interlocutore, o irritarlo, o suscitare lo sdegno e il rigetto, non solo per quello che afferma, ma anche per il modo con cui lo esprime. Basta un tono sbagliato per rendere la migliore delle musiche ‘stonata’ ad orecchi educati e sensibili. In tempi di crisi economica, un’errata comunicazione rischia di gettare il mondo nella disperazione, seminando panico, sfiducia, sospetto e odio. È cura delle persone di buona volontà e della stessa Chiesa tutelare il mondo delle parole e l’ordine dei sentimenti umani, per evitare che siano travolte dal crollo delle Borse. La riflessione, piuttosto ovvia, può risultare un’utile ipotesi di ricerca per spiegare come mai la Chiesa, portatrice di valori e ideali fondamentali, madre e maestra di umanità aperta alla pietà, che ha cura del debole e del povero, che sta accanto a chi soffre, si spezza in due per sostenere le cause dei disgraziati della Terra – dove sono rimasti ad operare solo i missionari, che rischiano la vita come le due povere suore tuttora in mano ai rapitori – venga spesso definita nei giornali dura, senza pietà e lontana dal sentire comune della gente.Su questo interrogativo si è soffermato in questi stessi giorni il presidente della Commissione dei vescovi dell’Ue, mons. Adrianus Van Luyn, a Bruxelles. Si è chiesto come fare per ‘rendere la fede più accessibile’. ‘Come Chiesa, come vescovi e come cristiani ‘ ha detto ‘ dobbiamo impegnarci con più zelo e creatività a rendere la fede più accessibile’. Propone quindi come condizione primaria un ‘coerente esempio di vita vissuta’, che renda credibile il messaggio della fede, ma invita i vescovi d’Europa anche ad ‘interrogarsi sul perché oggi non vi siano più persone che riconoscono nel messaggio cristiano di condivisione reciproca e di stile di vita sobrio la chiave del segreto di una vita buona e in definitiva felice’. Si domanda: ‘Che cosa possiamo fare per trasmettere la nostra fede in modo più comprensibile e per viverla in maniera più credibile?’. È una domanda alla quale anche noi siamo chiamati a rispondere.

AUTORE: Elio Bromuri