Pastore di un popolo

Nella cammino dell’anno liturgico la IV Domenica di Pasqua è tradizionalmente dedicata alla preghiera per le vocazioni, un termine che si è sempre più declinato sul versante della preghiera per le vocazioni sacerdotali, oscurando un po’ il vero significato della parola “vocazione”. È invece, prima di tutto una chiamata all’amore per tutti, un appello alla santità, per gustare la bellezza della vita.

La liturgia stessa, nella “Colletta” iniziale, definisce tutti noi “umile gregge di fedeli” in cammino verso il Padre, preceduti da Cristo unico Pastore. Sappiamo come Gesù istruisce il suo popolo attraverso immagini e parabole, evocando situazioni e racconti tratti dalla vita quotidiana. Una di queste è l’immagine del gregge, del pastore, del recinto delle pecore, di colui che furtivamente entra senza passare dalla porta principale. Una immagine cara alla gente a cui parla Gesù, che vive da vicino la condizione descritta.

Non solo, nella tradizione antica Israele è stato un popolo nomade, camminando con i propri animali, ha sperimentato più volte la via dell’esilio e del ritorno. A capo di questo popolo Dio ha sempre scelto uomini che lo guidassero, che fossero la sua presenza in mezzo ad esso, riservandosi però la particolarità di essere l’unico e vero pastore.

Pastori per il popolo

A partire da Abramo, passando per Mosè, per giungere fino al Re Davide, quest’ultimo scelto proprio mentre pascolava il gregge di suo padre (1Sam 16,11-13), Israele ha “sperimentato” cosa significasse essere un gregge, e Dio ha chiamato a guidare questo popolo alcuni uomini come pastori.

Essi sono pastori perché rendono presente la guida di un Padre, lo sono non per se stessi ma per il popolo. Potremmo dire una presenza “sacramentale” della paternità di Dio. Ma al Padre è piaciuto inviare il suo figlio Gesù, l’unico pastore, che la Lettera agli Ebrei definisce: “il Pastore grande delle pecore, fatto tornare dai morti” (Eb 13,20).

Nel capitolo 10 del Vangelo di Giovanni è tracciata una delle autorivelazioni di Gesù: “Io sono il buon pastore (Gv 10,11), un versetto successivo al Vangelo di questa domenica, preceduto dalla descrizione delle caratteristiche del pastore e della sua autorità, in contrapposizione al ladro e al brigante che entra per rubare e disperdere il gregge (Gv 10,1-2). Viene descritto lo stretto legame, tra pastore e gregge, che si riconoscono vicendevolmente.

Così è il “buon pastore”

Il pastore conosce il nome di ciascuna pecora, e la sua voce è rassicurante perché hanno sperimentato la tenerezza del loro pastore, lo hanno visto preoccuparsi di colei che si era dispersa, lo hanno visto affaticato riportare sulle proprie spalle quella smarrita, quella ferita, (Lc 15,4-6) e condurre dolcemente l’intero gregge, come ci descrive Isaia nel cosiddetto Libro della Consolazione (Is 40,11). Possiamo immaginare che sia questo gregge, che ha visto l’amore del pastore, a cantare il Salmo 22 elencando le sue qualità e soprattutto comprendendo che solo dietro di lui può trovare sicurezza e ristoro (Sal 22,2-4). Questo pastore, in cui Gesù si identifica è amato dal suo gregge perché non solo lo difende, lo cura e lo custodisce ma, come ha dato la sua vita una volta per sempre, è continuamente disposto a “metterla in gioco” per amore del “suo gregge-suo popolo”.

Proprio san Pietro, nella seconda lettura, ci descrive come il Pastore Grande delle pecore si fa “capro espiatorio” dei nostri peccati sul legno della croce (1Pt 2,24). Ora ritornato in vita si fa “Cireneo delle nostre anime”, e noi come pecore disperse ritorniamo a Lui. Abbiamo visto le sue piaghe, esse ci hanno guarito (1Pt 2,25).

Nella descrizione evangelica del pastore buono, Gesù mette in guardia dai “cattivi pastori” che non hanno a cuore il gregge, ma solo sé stessi.

Questa contrapposizione è evocata proprio per descrivere il tradimento del compito affidato da Dio a pastori venuti prima di Lui (Gv 10,8). È evidente, da parte di Gesù, il riferimento a farisei e scribi, incontrati nel capitolo 9 del Vangelo di Giovanni , nell’episodio del cieco nato. Essi sono quelli che non passano per la porta (Gv 10,1-2).

Pregare per le vocazioni

Se questa domenica è dedicata alla preghiera per le vocazioni, è opportuno pregare perché il Signore doni pastori secondo il suo cuore, ma nello stesso tempo è urgente pregare perché le nostre comunità riscoprano la vocazione ad essere grembo fecondo per tutte le vocazioni.

Comunità disposte a passare attraverso la porta che è Cristo (Gv 10,9), la cui forma è quella della croce, attraverso la quale si passa non per sfondamento ma per affinamento.

Don Andrea Rossi