Novantacinque agenti di polizia, 35 carabinieri, 23 finanzieri. Per un totale di 153 uomini, oltre ad un numero imprecisato di tifosi. Questo, domenica 21 marzo, il bilancio della notte del derby di calcio a Roma. Fortunatamente già il lunedì di prima mattina non c’era più nessun ferito negli ospedali della capitale. Ma ci sono molti motivi su cui interrogarsi. Il capitano della Lazio, di nazionalità serba, pare abbia dichiarato “sembrava la Serbia”, per rievocare il clima dentro e fuori lo stadio Olimpico. Allora forse c’è qualcosa che non va. Come certamente c’è qualcosa che non va nel corteo tenutosi nel giorno dell’anniversario dell’inizio della guerra in Iraq, dove il segretario dei Democratici di sinistra è stato oggetto di una violenta contestazione. Non ci interessa ora il significato in senso lato “politico” di gesti di violenza sicuramente preordinati da parte tanto delle tifoserie capitoline che da parte di pezzi ben identificati del cosiddetto movimento per la pace. Si tratta di due episodi di dimensioni diverse, ma di significato inequivocabile: ci sono nella società italiana bacilli di ordinaria violenza gravi ed inquietanti, che possono essere facilmente strumentalizzati. E questo richiede una chiara riflessione ed una precisa reazione. Anche perché, nell’uno e nell’altro caso, accanto alla denuncia ed all’esecrazione, non mancano oblique giustificazioni. Ed allora è bene essere molto chiari. La violenza non giova a nessuno e non porta da nessuna parte. Di fronte ai complessi problemi di questi mesi assecondare qualsiasi autocompiacimento nichilista, come è qualsiasi tentazione di scorciatoie violente, in qualunque settore della vita pubblica, anche apparentemente lontano dalla politica, significa aprire a conseguenze gravi ed imprevedibili. Grande è dunque la responsabilità della politica e del sistema della comunicazione, di fronte ad un passaggio storico delicato, che richiede capacità di guardare al futuro e di investire con larghi orizzonti. Grande è il bisogno di riferimenti comuni e di un forte spirito di coesione. Ancora una volta il cardinal Ruini, aprendo i lavori del Consiglio Permanente della Cei ha ben interpretato questa urgenza della comunità nazionale, rilanciando “gli inviti ed anche i tentativi concreti di affrontare con un approccio il più possibile condiviso e corresponsabile i problemi di maggior rilievo della nostra società”. In concreto “superare questa situazione di stallo e imboccare effettivamente la via di un confronto più pacato, concreto e responsabile sarebbe particolarmente importante per far fronte a quel timore o sindrome di declino e per dare fiato alla convinzione, oggettivamente ben motivata, che le difficoltà che abbiamo davanti non sono senza rimedio o troppo grandi per noi”.
Qualcosa non va
AUTORE:
Francesco Bonini