Qui passò Francesco e avvenne un miracolo

Bovara di Trevi. Festa quinquennale del SS. Crocifisso

Un evento religioso che accede ogni cinque anni e che ogni volta richiama moltissime persone. È la festa del Santissimo Crocifisso che si tiene nella parrocchia di Bovara di Trevi, guidata da mons. Luigi Galli. Una tradizione che si tramanda da quando i monaci benedettini Olivetani – che hanno fondato l’abbazia di S. Pietro nel 1158, e vi abitarono fino alle soppressioni napoleoniche – per la festa del SS. Crocifisso salivano da Bovara a Trevi con la statua lignea del Cristo. La venerazione nasce dalla tradizione francescana e dal miracolo delle acque. Raccontano i primi biografi di san Francesco che questi passò una notte in preghiera nella chiesa di Bovara. All’alba del giorno seguente frate Pacifico, non osando disturbarlo, si inginocchiò davanti al crocefisso e, assorto nella preghiera, ebbe la visione del paradiso ove il trono che fu di Lucifero era riservato per Francesco. L’episodio è stato raffigurato da Giotto nella basilica di Assisi e da numerosi altri pittori. A Trevi la scena è dipinta in una lunetta del chiostro e in una tela nella chiesa di S. Francesco. La critica moderna permette, invece, di datare la statua intorno al 1330 e quindi questo Crocifisso non è quello di fronte al quale pregarono Francesco e i suoi compagni, ma la devozione da parte dei pellegrini che dall’Abruzzo e dalla Ciociaria andavano ad Assisi per il Perdono si è perpetuata nei secoli. Testimoni diretti riferiscono che fino all’ultimo anteguerra l’affluenza era tale che a fine giornata le monetine gettate sul pavimento si dovevano raccogliere “con la pala”, prova tangibile del passaggio di migliaia di pellegrini ogni giorno. La grande processione è legata al miracolo delle acque del 1817. Lo troviamo descritto in un opuscoletto, pubblicato nel 1892 per il terzo giubileo del prodigio. Vi è ricordata la gravissima carestia del 1816 durante la quale molti per “non morire di fame, si mangiavano cose le più ributtanti: perfino la sansa dei molini e i sarmenti macinati e cose anche schifose!”. Alla carestia fece seguito una eccezionale siccità per tutto l’inverno e la primavera, tanto che a maggio del 1817 “il grano seminato, per la gran secca, era appena sortito dalla terra: rimaneva esile e quasi secco, mentre era quasi tempo di raccoglierne il frutto. Si facevano private e pubbliche preghiere; si esponevano le più insigni reliquie. Ma il cielo rimaneva sempre lo stesso; sempre sereno e sole sempre gagliardo”. Si decise allora di fare una solenne processione con il Crocifisso di Bovara. Ecco ancora quanto si legge nelle note storiche: “col concorso delle ville vicine e lontane e di un popolo immenso si fece col SS.mo Crocifisso una solennissima e devotissima processione, la quale, girando per tutto Trevi, giunse al convento di S. Martino. E quando l’Immagine benedetta fu di ritorno sulla piazza della sua chiesa operò la tanto sospirata grazia… Mentre un valente predicatore… saliva il palco fatto nella medesima piazza a cagione della gran moltitudine, si vide comparire nel cielo una nuvoletta simile a un palla… La nuvoletta in un momento si dilatò per tutto il cielo; e in mezzo alla predica incominciò una pioggia dolce, pacifica, e poi abbondante, che non fu di acqua, ma piuttosto vera pioggia di grano… Sempre pacificamente piovendo… la terra arsissima restò del tutto sazia e satolla… Il grano, che non presentava speranza di frutto alcuno, fu così abbondante e copioso che da 40 scudi al rubbio calò subito alla meschina cifra di L. 16 al rubbio. V’è un detto tuttora popolare, e tuttora universale, e di alcuni viventi ancora che nella raccolta ‘era più grande sempre il mucchio del grano che quello della paglia’”. I festeggiamenti prima venticinquennali (come detto sopra), passarono negli anni a decennali, e poi, da non molto tempo, quinquennali. La popolazione di Bovara non manca mai all’appuntamento, che richiama anche gente nata nella frazione trevana e trasferita altrove. La processione del SS. Crocifisso di Bovara di Trevi rientra negli eventi della pietà popolare che, come scrive papa Paolo VI al num. 48 dell’esortazione apostolica Evangelii nuntiandi, “manifesta una sete di Dio che solo i semplici e i poveri possono conoscere; rende capaci di generosità e di sacrificio fino all’eroismo, quando si tratta di manifestare la fede; comporta un senso acuto degli attributi profondi di Dio: la paternità, la provvidenza, la presenza amorosa e costante; genera atteggiamenti interiori raramente osservati altrove al medesimo grado: pazienza, senso della croce nella vita quotidiana, distacco, apertura agli altri, devozione”.

AUTORE: Francesco Carlini