Ritrovare se stesso attraverso l’altro, nella giustizia

L'intervento del ministro Buttiglione alla festa di San Benedetto a Norcia

Registriamo con vera soddisfazione, in rapida quanto inadeguata sintesi, l’intervento del ministro Buttiglione al Comune di Norcia, come rappresentante del Governo italiano per la Festa di S. Benedetto. Una tesi, la sua, che vale davvero la pena di approfondire, tanto il suggerimento appare prezioso. Importante, certo, egli ha detto, l’opera del Santo per la coltivazione razionale delle terre, la salvaguardia dell’antico patrimonio culturale, l’ingentilimento dei barbari come ebbe a rilevare papa Giovanni Paolo II nell’allocuzione al sindaco di Norcia il 23 marzo 1980, ma è grave che non si dia il debito rilievo all’originale tipo di vita comunitaria da lui promossa, “posta sotto la Regola da lui appositamente scritta”. Crollato l’impero romano più per l’interna dissoluzione e la corruzione morale che per la calata dei barbari, dispersa ogni eredità culturale, era proprio necessario – come nel Fedone di Platone – che intervenisse qualcuno “di là dal mare”, cioè da uno spazio oltre il comune, a risanare la situazione. E questo fu Dio stesso con l’Incarnazione di Cristo. Avvertirne e viverne la presenza è per l’uomo assolutamente essenziale: un “interlocutore assoluto” per una “responsabilità assoluta”. Responsabilità per l’uomo di porsi alla ricerca della propria identità per essere stato creato a immagine di Dio, di quel Dio che è Uno in tre persone, nel ritmo delle Relazioni Trinitarie. Riscoprire quindi la propria vocazione alla relazionalità, costitutivo fondamentale della natura umana: “unità attraverso l’altro”. Ecco allora la necessità, per Benedetto, di un cammino educativo per il quale l’uomo si avvii, ma non da solo bensì con debiti compagni, sotto la guida di un maestro, per sentire e vivere questa presenza del Dio Unitrino: rapporto comunitario, esperienza della presenza divina, non senza, si badi, l’immancabile sostegno del maestro, un’autorità che, secondo l’etimologia (dal latino augeo) “faccia crescere” nell’unità. Sarebbe compito dello Stato e dei suoi organi, ma come con i governi del tempo, secondo sant’Agostino vere associazioni a delinquere? Dunque un’autorità diversa, un “maestro” la cui amicizia aiuti ognuno a “ritrovare se stesso attraverso l’altro”, nella giustizia. Un’amicizia “non per il dilettevole ma per una autentica relazione”. Necessaria allora una “struttura antropologica” quale fu quella di Benedetto, una “città in formazione”, uno Statuto limpido che consenta di vivere in giusta misura di rapporti, ove ognuno abbia modo di riconoscersi e sentirsi riconosciuto. Riemerge così finalmente la “persona”, chiamata a libertà nella dignità. “Ora et Labora”: è il grande motto benedettino, “Preghiera e Lavoro”. Ma quale lavoro? Al primo posto il lavoro dell’uomo su se stesso, nella riscoperta del suo intimo, della sua anima. “Dio ti ha creato senza di te ma non ti salverà senza di te” dice sant’Agostino, ed ecco l’ascesi, anch’essa lavoro, di assoluta gratificazione nella libertà. Allora sì che si costruisce davvero. Ecco l’uomo europeo, ecco la famiglia, dalle dimensioni minuscole del piccolo nucleo a quelle continentali, dall’Atlantico agli Urali, nel progressivo ampliarsi dell’identificazione comunitaria. Ed è la riscoperta anche della bellezza, che si fa preghiera poiché la preghiera è offrire a Dio quanto c’è di più bello, mai scisso dal lavoro, in quanto la bellezza esiste per dare gusto al lavoro, lavoro che si fa a sua volta preghiera poiché è da esso che “sale l’offerta” Compito immane, si direbbe impossibile, ma nulla è impossibile a Dio, un Dio fatto uomo che tutto prende dell’uomo, eccetto il peccato, perfino la fragilità per elevarla a potenza di resurrezione, attraverso la croce. Così Benedetto. E noi della sua terra, che respiriamo la sua stessa aria, dovremo pur far nostro il suo suggerimento, il suo prodigio.

AUTORE: Agostino Rossi