Santa Chiara, infiammata d’amore per la croce di Gesù

Moriva sette secoli fa a Montefalco santa Chiara della Croce, eccezionale esempio di mistica e di carità verso i poveri

Il 17 agosto la Chiesa fa memoria di santa Chiara della Croce. Il 17 agosto 1308, a soli 40 anni, Chiara di Damiano muore a Montefalco, nel monastero di Santa Croce, dove era badessa. Le sue monache, assolutamente convinte della sua santità, nel desiderio di conservarne il corpo, procedono a tutte le operazioni necessarie al caso. Quando tolgono il cuore, ricordando le parole insistenti della loro badessa (‘Ajo Jesu Cristo meo entro lo core meo’) lo aprono come si aprirebbe una melagrana e, a loro dire, vi trovano i segni della passione di Cristo: la croce, la colonna, lo staffile, la lancia, l’asta con la spugna per l’aceto. La notizia si propaga in un battibaleno e le strade della bella cittadina umbra, oggi giustamente famosa per il Sagrantino, si riempiono di gente, con in testa il podestà e le autorità civili. Il medico ha certificato l’eccezionalità della scoperta e anche le autorità religiose, salite da Spoleto a Montefalco per punire una forma di esaltazione religiosa, si sono arrese di fronte a quelli che a tutti apparivano come i segni della passione nel cuore di Chiara. Oggi la scienza può spiegare meglio quella particolare morfologia cardiaca, sgombrando il terreno dagli aspetti troppo miracolistici per focalizzarsi sull’aspetto più propriamente spirituale della vicenda di Chiara. Vicenda davvero straordinaria per intensità e passione dell’amore, dove i segni della Passione rimandano a un cammino di conformazione a Cristo unico, capace ancora oggi di stupire e di interrogare chi, senza preclusioni, voglia misurarsi con le scelte di questa donna di straordinaria bellezza, esteriore e interiore. Chiara nasce nel 1268 da Damiano e Giacoma, seconda di quattro figli: Teodora, la più piccola, morirà in fasce; Francesco, nato nel 1270, sarà frate francescano, lettore in teologia, provinciale dell’Ordine per la Valle spoletina; la prima, Giovanna, di 14 anni più grande, sarà la prima badessa del monastero di Santa Croce. Tutto inizia con la scelta di Giovanna di farsi ‘reclusa’, di consegnarsi cioè a quella forma di consacrazione assai diffusa a quel tempo, che potremmo definire alternativa rispetto a quella praticata nei grandi ordini monastici e religiosi maschili e femminili. Il fenomeno, che investe tutta l’Europa, vede uomini o donne, singolarmente o in forma comunitaria, rinchiudersi volontariamente in un luogo ‘ di qui il nome reclusorio o carcere (chi non ricorda le Carceri di Assisi?) ma anche ‘bizzocaggio’, perché queste donne venivano chiamate ‘bizzoche’ ‘ dove, vivendo di elemosina, si dedicavano a una vita di preghiera e di penitenza. Anche Giovanna fa questa scelta e si ritira con l’amica Andriola nel reclusorio a ridosso delle mura della città, costruito dal padre Damiano in un terreno di proprietà della famiglia (che doveva essere agiata, se nella parentela ci sono notai). A soli 6 anni, Chiara prende a frequentare la sorella: ne imita i gesti, ne ripete le preghiere, incomincia le penitenze, entrando in un cammino di conformazione alla passione di Cristo che caratterizzerà tutta la sua vita. Vuole essere tutta per il suo Signore e comincia un distacco da tutto e da tutti, infliggendosi penitenze severissime ‘ flagellazioni, genuflessioni, prostrazioni, servizi umilianti, digiuni ‘ che allarmano la stessa sorella, la quale la invita alla misura. L’esperienza di reclusa dura fino al 1290, anno in cui il vescovo di Spoleto erige Santa Croce a monastero, scegliendo per le monache la Regola agostiniana. Alla grata del monastero Chiara accolse i poveri nel corpo e nello spirito: a tutti dona ciò di cui hanno bisogno, fosse anche il necessario per il monastero, nella più completa fiducia in Dio provvidente; a nessuno fa mancare la sua parola che illumina le anime. Ogni giorno da Santa Croce partiva per l’ospizio di San Leonardo un paniere con 12 pani, in memoria dei 12 apostoli. Questa attività febbrile a favore degli altri ‘ la comunità delle monache e i tanti che bussavano alla porta del monastero ‘ mai la sottrassero dalla ricerca radicale ed esclusiva di Dio. Il suo rapporto con Dio è tutto segnato di ripetute estasi, in una delle quali vede i tempi e i modi della Passione e percepisce anche sensibilmente il dramma della crocifissione. Tutto della vita di Chiara esprime una sequela di Cristo nella radicalità evangelica della morte a sé stessa, che trova il suo compimento alla comunione d’amore con Dio: ‘O Segnore, qui sci salli e quali son le scale per le quali sci salli? Non lo po dire, Segnore, se non chi è enflammato d’amore’. Per chi sale a Monfefalco ed entra nel monastero di Santa Croce, oggi di Santa Chiara, è possibile percepire il riverbero di questo amore che ha consumato una donna straordinaria e ce ne riconsegna la memoria, perché possiamo ‘ alla luce del suo esempio ‘ rivedere e rafforzare le nostre fragili scelte di amore per Dio e per i fratelli.

AUTORE: Dario Vitali