Se la fede non diventa cultura ‘

l'editoriale

Vi sono stati periodi della storia in cui sono avvenute mutazioni culturali che potremmo definire genetiche che hanno portato a identificare la parola ‘cristiano’ uguale ‘uomo’. Tale cultura ha posto radici profonde che hanno fatto crescere opere di religione, arte, istituzioni sociali e cuturali che hanno dato vita ad una splendida civiltà. L’Europa delle basiliche romaniche, delle pievi rurali, delle cattedrali gotiche, delle abbazie e dei monasteri, dei conventi e degli ospizi, dei pellegrinaggi e delle confraternite, delle assemblee legislative comunali, degli ordini contemplativi e mendicanti, è un continente vibrante come un’orchestra sinfonica in piena sonorità. La festa del perdono di Assisi di cui scriviamo in questo numero è uno dei momenti di questa trasformazione culturale in cui il cammino dei pellegrini va a sostituire gradualmente la marcia dei crociati e la loro preghiera umile libera enormi energie che produrranno frutti oltre il secolo ch’era appena iniziato. Esagerava forse padre Gemelli quando scriveva cento anni fa ‘Noi siamo medievali’. Ma il fascino di quel periodo rimane per la forza propulsiva che ha avuto il messaggio cristiano. Questo dato resta valido anche per i periodi successivi, con maggiore o minore intensità secondo le condizioni dei tempi e lo stato di salute della Chiesa. Anche oggi avviene una piantagione di semi di verità e di speranza nella società in modo difficile da definire, ma che si può intuire a partire ad esempio dalla incisiva testimoniana dei Pontefici romani che dura con assoluta credibilità almeno dalla caduta del potere temporale della Chiesa. Si sta affermando nel mondo l’idea di un’autorità spirituale disinteressata, fuori dai giochi degli interessi politici, libera, a dimensione mondiale, forte e coraggiosa, segnata dal martirio, alla quale il mondo è costretto guardare pena la sua dissoluzione. Accanto a ciò circolano nel mondo testimonianze cristiane di religiosi e laici (anche aduti) che accompagnano questo processo di mutazione genetica positiva che tende a ‘cristianizzare’ le varie culture dell’umanità. Se la fede non diventa cultura rimane inefficace nell’opera di salvezza dell’uomo. Questo è l’insegnamento di fondo dei Papi, anche se il pensiero è di Giovanni Paolo II. Sempre studiando la storia si può osservare che vi sono stati momenti in cui la mutazione genetica è avvenuta in contro tendenza ed ha provocato la adulterazione del pensiero cristiano e la corruzione della prassi dei fedeli, introducendo nella comunità dei credenti eresie, scismi, abusi, violenze e divisioni. Non è questione di peccati personali, sempre presenti nei membri della Chiesa pellegrina sulla terra, santa e bisognosa di perdono (‘Tu solo sei santo’, si dice nel Gloria), quanto del modo di ragionare, di scelte sociali e politiche, del fare opinione pubblica corrompendo le coscienze. Il rischio si presenta sotto varie forme e si collega con il ritorno della religione nella sfera pubblica. Benedetto XVI indica questo pericolo nel n. 55 dell’ultima enciclica, in cui scrive che le religioni sono di aiuto per lo sviluppo umano, ma non ogni religione e neppure ogni modo di essere religiosi. Per capirci, qualche esempio di cose che non possono andare d’accordo: fede e mafia, cultura della vita e ricerca di strumenti di morte, accoglienza del povero e respingimenti, libertà del cristiano e culto del capo, profezia e conformismo, unità cristiana e lotte fratricide. Si potrebbe continuare. Chi fa le leggi, governa i popoli, sta sulle pedane dei mass media, fa cultura, ha perciò una responsabilità enorme e chi non glielo ricorda ne ha altrettanta. Dicendo o scrivendo ciò non siamo contro qualcuno, ma in difesa di tracce di cultura cristiana nella società.

AUTORE: Elio Bromuri