Solidarietà “senza fondo”

Società. L’impegno concreto delle Chiese umbre a favore delle famiglie colpite dalla crisi: i dati delle prime elargizioni del Fondo di solidarietà

La crisi economica si fa sentire anche in Umbria. La conferma arriva dalle Caritas delle diocesi umbre che ormai da molti mesi hanno registrato un incremento delle richieste di aiuto da parte di famiglie italiane che fino al giorno prima mai avrebbero pensato di mettersi in fila allo sportello della Caritas con gli immigrati. Il “Fondo di solidarietà delle Chiese umbre” nei suoi primi quattro mesi di operatività ha già aiutato 135 famiglie con un contributo mensile che va fino ad un massimo di 500 euro (per un totale di 309.900 euro impegnati e 127.450 euro già erogati). Il bilancio fatto il 9 ottobre, giorno dell’ultima riunione del Consiglio di gestione sotto la presidenza dell’Arcivescovo Riccardo Fontana, ha fotografato una società in crescente difficoltà e al contempo generosa. La mobilitazione della Chiesa umbra ha raccolto un’ampia solidarietà concretizzatasi in 1.317.121,03 euro di contributi a favore del Fondo. A partire dalla ‘grande colletta’ del 29 marzo scorso nelle chiese di tutte le diocesi della regione, sono arrivati al Fondo 354.957,93 euro dalle Chiese umbre, 756.904 da Fondazioni bancarie e banche, 100.150 da Aziende, 48.747,08 da Privati benefattori extraparrocchie, 35.561,02 da Parlamentari e Consiglieri regionali e 20.801 da Associazioni, Enti e Comitati. Ed è ancora non solo possibile ma importante, contribuire con donazioni. Le famiglie beneficiarie del Fondo sono solo la punta dell’iceberg rispetto alle famiglie che si rivolgono ai centri Caritas. Infatti sono molti quelli che non rientrano nei requisiti richiesti per l’accesso al contributo, che prevedono che il beneficiario sia a capo di una famiglia, abbia minori a carico o in attesa di prole, sia famiglia monoreddito, abbia perso un lavoro stabile o non lo abbia ancora avuto a causa dell’attuale crisi, non abbia sufficiente copertura degli ammortizzatori sociali. Chi non ha questi requisiti non è comunque abbandonato dalle Caritas che fanno fronte alle richieste attraverso i canali ordinari a disposizione di ciascuna diocesi. Vincenzo Menna, membro del Consiglio di gestione del Fondo in rappresentanza delle Acli spiega che “benché ci siano stati investimenti importanti sugli ammortizzatori sociali le coperture sono insufficienti per ristabilire i livelli di reddito che le famiglie avevano”. “Il più delle volte – continua – le persone hanno la necessità di orientarsi all’interno del sistema di provvidenze pubbliche che non sempre sono note, inoltre il gran successo della raccolta del Fondo ha creato molte aspettative”. Il dato più significativo per Menna è che “il Fondo ha costruito una modalità di lavoro nuova mettendo insieme i nostri istituti di patronato, le parrocchie, la Caritas. Ora un passo ulteriore da fare è ripensare i nostri stili di vita, come già veniva indicato nella Nota pastorale dei nostri vescovi da cui è nato il Fondo”. “Il disagio delle famiglie che si presentano al Fondo dipende dalla mancanza di lavoro causata dalla crisi” spiega Luciano Guidotti, membro del Consiglio del Fondo a nome della Caritas di Foligno. Sono “situazioni di particolare disagio perché si tratta famiglie che non hanno neanche gli ammortizzatori sociali”, e pensare che siano soprattutto stranieri non è corretto. A Foligno 6 su 10 sono italiani, molti hanno perso un lavoro a tempo indeterminato o avevano piccole imprese artigianali che per la crisi hanno dovuto chiudere. Certo il contributo del fondo non basta per tirare avanti e spesso integrano conoscenti, Caritas, servizi sociali. “Cerchiamo di essere vicini a queste persone in un periodo difficile della loro esistenza con il denaro ma soprattutto con la nostra presenza e vicinanza, nella logica della Caritas” dice don Vito Stramaccia della Caritas di Spoleto – Norcia. Tre elementi caratterizzano la positività di questa esperienza, ha detto mons. Riccardo Fontana nell’ultima riunione del Consiglio di gestione del Fondo. “Siamo stati tempestivi. Di fronte alle necessità della gente la risposta è stata immediata. Il popolo cristiano ci ha sostenuto, le istituzioni hanno collaborato in modo fattivo e forte e il sistema bancario e la società umbra ci hanno dato fiducia. Ancora una volta abbiamo visto che quando la Chiesa si muove nel mondo della carità ottiene la coralità dei consensi e riesce ad esprimere la società umbra”. Importante è stato mettersi al servizio della gente che aveva perduto il lavoro, “perché la crisi non era psicologica” ha detto Fontana definendo “un problema di civiltà aiutare chi si trova nel bisogno, oltre che una ragione di fede c’è una ragione di civiltà”. Il terzo elemento positivo lo vede nel fatto che “la Chiesa umbra si sia mossa, seconda solo alla Chiesa di Milano, per fare la propria parte e l’ha fatta. L’ha fatta con la cultura della legalità, perché insieme, tutti i vescovi dell’Umbria, abbiamo elaborato un regolamento, lo abbiamo sottoposto alla società civile, e lo abbiamo rigorosamente e scrupolosamente osservato. Non un centesimo è andato fuori da quanto avevamo dichiarato di fare”. Infine, ma non ultimo, “è molto bello che abbiamo potuto lavorare come otto Chiese sorelle”. Ora la Conferenza episcopale umbra ha affidato la presidenza del Consiglio di gestione del Fondo di solidarietà a mons Vincenzo Paglia presidente della Commissione Ceu per i Problemi sociali e il lavoro, promotrice, insieme alla Caritas umbra, della Nota Pastorale e dello stesso Fondo.

AUTORE: Maria Rita Valli