Spari e morti nella sede della Regione

Non è il palazzo principale: né quello della Giunta regionale, palazzo Donini, né quello del Consiglio regionale, palazzo Cesaroni; ma il terzo palazzo, che si trova al Broletto. Un palazzo tutto nuovo e moderno, che, pur essendo meno rappresentativo, è quello più importante per la realtà amministrativa. Lì ci sono i vari ministeri – o dicasteri, come li si voglia chiamare – i comparti dei vari servizi, dove gli assessori svolgono le loro funzioni. Da qui partono decisioni e provvedimenti, circolari, atti amministrativi. E proprio qui si è verificata la tragedia di un uomo, ancora giovane, 43 anni, che grida, minaccia, poi uccide due donne, due impiegate che stavano al posto di lavoro, e si toglie la vita sparandosi con la stessa pistola (a pag. 16). I fatti spesso sono più eloquenti delle parole. Questa è disperazione mista a follia, o follia mista a disperazione. Quando le due componenti si uniscono, esplode la tragedia. Il sindaco Boccali ha indetto il lutto cittadino e ha invitato a pensare alla situazione di forte difficoltà che il Paese sta attraversando. Non c’è un rapporto diretto tra il disagio e la sofferenza sociale e il doppio omicidio e suicidio, non c’è e non si deve neppure immaginare che ci possa essere. Sarebbe un baratro psicologico cadere in questa deriva nichilista. E tuttavia il clima generale di sbandamento e di conflittualità esasperata, la rabbia, i toni al di sopra delle righe di capi partito e politici, le esasperazioni, le grida di angoscia rimbalzati e gonfiati, possono generare un clima di psicosi collettiva e accendere fuochi devastanti come quello della Città della Scienza a Napoli. Oltre alla riflessione sui fatti, sulle modalità e le cause della terribile tragedia di Perugia, su eventuali responsabilità circa la prevenzione e l’adeguata comunicazione, si deve passare alla quantificazione, se mai fosse possibile, del dolore. Questo coinvolge persone, famiglie, padri e madri, figli e figlie, parenti e un’intera città. Una volta tanto possiamo anche dire che un dolore del tutto particolare colpisce quelli che hanno responsabilità pubbliche e svolgono funzioni amministrative negli enti pubblici, spesso oggetto di critiche e di invidie. Sono uomini e donne reali e concreti, con sentimenti, legami ed esperienze di vita, e non semplici e freddi funzionari dell’ente in cui operano. Pensiamo alle circa 500 persone che ogni giorno si trovano in quella scatola di acciaio e vetro che è il cosiddetto Broletto, che non potranno scordarsi di quanto hanno provato alle 13 del 6 marzo. Pare che l’omicida-suicida abbia rilasciato dichiarazioni e messaggi con qualche riferimento anche religioso. Purtroppo la religione in questi casi non può avere altro che una funzione penitenziale, attraverso il richiamo della fede, ma soprattutto penitenziale nel senso che deve risvegliare la coscienza di tutti a meditare su ciò che è stato fatto e su cosa non è stato fatto per evitare che accadessero questa e altre tragedie. Molti diranno: che cosa si può fare? Già, che cosa si può fare? Una domanda che forse non ha una risposta precisa. Ma chi si pone questa domanda: non si poteva prevedere? Forse no, forse sì. Quello che si vuol dire è che l’attenzione che poniamo sull’economia, sulla politica, per le quali tanto si discute e si litiga, si dovrebbe porre anche su chi si trova nella disperazione, chi è colpito da malattia o patologia mentale, e possiede delle armi; come tutelare gli uffici delicati e a rischio. Avete visto le banche, come ti fanno entrare e come ti sorvegliano? Quanti sono a rischio come le banche? Oggi ho letto che hanno abolito i manicomi criminali e hanno fatto bene. Ma chi ha una persona accanto, in famiglia o in una comunità, affetta da turbe psichiche di vario genere, cosa può fare e a chi si può rivolgere? Ho esperienza di una ragazza “partita di testa” che ha urlato e minacciato, tempo fa, per un’intera notte, e so che cosa abbiamo penato per ritrovare una qualche calma. La società non deve guardare solo il Pil ma il benessere, la pace e serenità sociale. Altrimenti, come scrive Avvenire di mercoledì scorso in prima pagina, “L’inferno non svanisce”.

AUTORE: Elio Bromuri