Storia e finalità della Confraternita del Buon Consiglio

Il sodalizio ebbe origine dalle adunate alla fine del 1'millennio

L’11 gennaio scorso nella chiesa del Buon Consiglio di Città di Castello si è riunita l’associazione storica dell’Alta Valle del Tevere, presieduta da Franco Polcri, alla presenza di molti soci del comprensorio. Il priore della confraternita Carlo Morini ci ha fatto conoscere la storia e le finalità di questo sodalizio che ebbe origine dalle “adunate” alla fine del 1’millennio. E’ una chiesa di riferimento per tutti gli ordini equestri eccetto Malta e i Templari che furono sospesi da papa Clemente V nel 1303. E’ anche detta compagnia della Buona Morte, perché i fratelli che ne facevano parte assolvevano al pietoso compito della sepoltura dei morti che, durante le frequenti e perniciose pestilenze del tempo venivano gettati in mezzo alla strada dai parenti attraverso la porta del morto, che poi chiudevano ermeticamente per timore del contagio. Questi “volontari”, il cui motto era: “Non nobis, Domine”, vestiti di sacconi bianchi, aspersi di calce viva con il volto coperto dal cappuccio pieno di salvia e di rosmarino per ovviare al fetore ripulivano le strade al posto di una inesistente Amministrazione civica. Appartenevano alla Confraternita anche membri delle famiglie nobili, quali i Bufalini, i Pierleoni, i Vitelli, i Bourbon del Monte ed altri. Il Conte della Porta, data la sua fragile costituzione pagava un robusto operaio per fare il lavoro in sua vece. La serie di costumi che i confratelli indossano nelle celebrazioni religiose e civili, posti su una serie di manichini a semicerchio ai lati dell’altare maggiore evocava queste presenze del passato. I confratelli non si conoscevano fra loro e lavoravano nell’anonimato. Ciascuno aveva la propria chiave e alla fine del servizio diceva: “Dio te ne renda merito perché mi hai fatto fare un’opera buona”. Città di Castello e Gubbio crearono le università dei mestieri. Era ritenuto un onore appartenere ad una confraternita che in genere associava la preghiera allo studio, alla difesa e alla protezione per cui era un dovere morale andare a difendere le mura urbiche o la Terrasanta. Tutti i combattenti di Città di Castello che lottarono contro i turchi provenivano da questa confraternita e se ne sono trovati anche alla battaglia di Lepanto. La chiesa del Buon Consiglio è a pianta irregolare e anticamente era costituita da due chiese una nella attuale sacrestia e una nell’attiguo mercato coperto. Alla sua sinistra si trovava il primo tribunale cittadino. Via del Popolo aveva, in effetti, 8 chiese e san Pellegrino Laziosi fu ospite di una cappellina di questa strada. La chiesa del Buon Consiglio è il 5’punto museale della città perché è dotata di un notevole numero di opere d’arte: una “Fuga in Egitto” del Barocci sul frontalino dell’altare maggiore, i cui sportelli sono di Rinaldo Rinaldi detto il Bernini. Sopra la lunetta “San Crescenziano a cavallo che uccide il drago”; una piccola Madonna di Scutari si trova sull’altare di sinistra. Venne portata a Città di Castello durante la guerra contro i turchi ed è richiesta dagli albanesi. Vi sono molte possibilità che “La sepoltura di Cristo”, che si trova sull’altare di destra, sia del Rosso Fiorentino. Marco Baldicchi, socio della Associazione ci mostra una fotocopia trovata nella vetrina di un negozio di Perugia, che è molto simile alla tavola che rappresenta Cristo portato al sarcofago. Dal curatore del gabinetto delle stampe e delle incisioni del museo di Amsterdam si è appreso che la fotocopia viene da una pubblicazione di incisioni stampata a Padova nel 1992. I grandi incisori prendevano a modello quadri famosi perché erano più facili da vendere: sarebbe interessante fare un esame riflessologico del quadro. E’ una composizione tipica del manierismo del ‘600. Il braccio abbandonato del Cristo può essere una citazione da Michelangelo. Da Firenze hanno risposto di vedere se sotto la pittura c’è un disegno originale da indagare con infrarossi. C’è scritto: tre croci sul Golgota e sullo sfondo la Gerusalemme ideale. Il Rosso all’epoca era nella vicina Sansepolcro, ospite del Vescovo che gli aveva messo a disposizione il sepulcrario della cattedrale per eseguire disegni anatomici. La tavola è un ex-voto, proveniente dalla casa di un nobile tifernate che è voluto rimanere anonimo. Si dice che se verrà rivelato il nome del donatore l’opera sarà ripresa immediatamente. La grande tela sulla destra che raffigura la Vergine con il Bambino che porge un giglio a santa Caterina d’Alessandria e Sant’Antonio è un’opera tardiva di Gianventura Borghesi come ci dice Valeria Bruschi, laureata in Conservazione di Beni culturali. Non è fra le opere migliori del Borghesi ed è bisognosa di una accurata pulitura perché è così scura da diventare difficilmente leggibile.

AUTORE: Adria Chimenti Augusti