Un termometro chiamato spread

di Pier Giorgio Lignani

Torno sullo “spread”, scusandomi con i lettori se, non a torto, lo troveranno un argomento troppo tecnico e comunque noioso. Ma lo spread ha fatto cadere qualche Governo, in un passato recente, e potrebbe accadere di nuovo, anche se mi auguro di no.

Quando si parla dello spread, in questi giorni, si intende un certo numero-indice che rappresenta la differenza fra il tasso di interessi che paga lo Stato italiano sui suoi buoni del Tesoro e quello che paga lo Stato tedesco sui titoli suoi. Quanto più alta è la fiducia che hanno gli investitori sulla puntualità dei futuri rimborsi, tanto più basso è l’interesse pagato – e dunque è più basso anche lo spread, visto che il termine di confronto sono i titoli tedeschi, che godono di molta fiducia e dunque pagano un interesse bassissimo.

Questo lo avevamo già scritto. Ci torno sopra perché ho sentito un signore che protestava contro la pretesa dei tedeschi – i soliti arroganti! – di imporre i loro titoli come modello e misura del valore dei titoli altrui. Qui bisogna fare un po’ di chiarezza. Lo spread, di per sé, è solo un numero convenzionale, come è convenzionale che l’altezza delle montagne si misuri dal livello del mare.

Se adottassimo una base di riferimento diversa, il numero sarebbe un altro, ma l’altezza reale della montagna e la fatica per salirci in cima resterebbero uguali. Quello che ci danneggia, e che ci deve preoccupare, non è quel numeretto, ma il fenomeno oggettivo che c’è sotto, cioè il fatto che chi ha investito nei nostri Bot adesso li svende, e li ricomprerà di nuovo solo se potrà ottenere un interesse più elevato. E lo pagheremo noi contribuenti.

A parte gli interessi sulle emissioni future e il loro costo, il deprezzamento dei nostri Bot già in circolazione è un danno immediato per la nostra economia, ed è proprio per questo che uno spread alto è un pessimo segnale. E questo resterebbe vero – anzi peggiorerebbe ancora – anche se smettessimo di confrontarci con i tedeschi, e magari uscissimo dalla moneta unica e dall’Unione europea.

Insomma, invece che insultare il termometro, pensiamo a curarci la febbre.