Terni. Dopo 6 anni di crisi, più ombre che luci

I dati relativi al lavoro nel Ternano restano scoraggianti. Le imprese si rifugiano nelle assunzioni non qualificate
Panorama della zona industriale di Terni
Panorama della zona industriale di Terni

Dopo sei anni di crisi, sono evidenti i segni di sofferenza dell’economia ternana, in particolare per quanto riguarda il mercato del lavoro. In attesa di scoprire se la ripresa prevista in Italia per il 2015 coinvolgerà anche le imprese del Ternano, se si guarda alla fotografia del più recente passato (dati del 2014), non si può non notare che le ombre prevalgono decisamente sulle luci.

Nel 2014 il numero complessivo di persone disoccupate in provincia di Terni è arrivato a 12.000, il che porta il tasso di disoccupazione provinciale al 12,2%, un livello quasi triplo rispetto al 2008, quando la disoccupazione si era attestata al 4,3%. Le vicende che hanno visto protagonista la siderurgia ternana lo scorso anno hanno inciso solo marginalmente su questi andamenti, tuttavia hanno portato allo scoperto la fragilità e l’incertezza di tutta l’economia locale. I dati statistici confermano, quindi, una consapevolezza ormai ben radicata nella società ternana. Sul fronte dell’occupazione si contano 85.000 persone con un posto di lavoro. Di queste, 58.000 sono impiegate nei servizi e 15.000 occupate nell’industria, escluse le costruzioni. Il tasso di occupazione calcolato sul totale della popolazione di età compresa tra i 15 e i 64 anni è pari al 58,4%, decisamente più basso del 61,9% registrato in provincia di Perugia.

Il sistema locale

Se, anziché all’intera provincia, si guarda più da vicino al “sistema locale del lavoro” ternano, ossia l’unità territoriale formata dai 18 Comuni maggiormente integrati con il capoluogo, si nota dal 2008 al 2013 un calo del tasso di occupazione di soli 2 punti percentuali, probabilmente grazie al ricorso agli ammortizzatori sociali, che ha tamponato parzialmente gli effetti della crisi. Tuttavia, nello stesso arco di tempo, il tasso di disoccupazione è più che raddoppiato, arrivando quasi all’11% (riferito alle forze lavoro con più di 15 anni). Numeri che dicono chiaramente che negli anni della grande crisi, a fronte della perdita di posti di lavoro e di reddito,e malgrado le prospettive tuttaltro che favorevoli, la reazione prevalente delle famiglie non è stata di scoraggiamento e di ritiro dal mercato del lavoro. Al contrario sono aumentati gli sforzi di ricerca di un lavoro, che hanno visto coinvolte anche componenti della popolazione che prima della crisi rimanevano al di fuori del mercato.

Niente fughe… per ora

I dati indicano anche che, malgrado il perdurare delle difficoltà, non si è ancora manifestato alcun fenomeno evidente di trasferimento verso altre regioni. Al contrario, dal 2008 al 2013 la popolazione è aumentata di oltre 4.000 unità nel sistema locale. Evidentemente, il carattere nazionale della crisi scoraggia la mobilità territoriale. Soprattutto lavoratori con bassi livelli di qualifica o avanti nell’età incontrerebbero comunque difficoltà di ricollocamento. Non si può escludere, tuttavia, che si stia verificando -intensificandosi nei prossimi anni – un processo più selettivo di mobilità, che potrebbe coinvolgere in particolare i giovani, soprattutto quelli più qualificati, per i quali appaiono estremamente basse le opportunità di trovare in questa parte dell’Umbria un impiego coerente con l’istruzione acquisita, come testimonia chiaramente l’ultima indagine relativa alle previsioni di assunzioni da parte delle imprese. Questa indicava, ancora nel 2014, prospettive complessivamente al ribasso: i saldi tra assunzioni e uscite previste erano negativi in tutti i comparti, particolarmente sfavorevoli nelle costruzioni, nei servizi avanzati alle imprese e nel turismo e ristorazione. Ciò significa che l’anno scorso le imprese non prevedevano neanche di rimpiazzare tutti i lavoratori che, per pensionamento, dimissioni o licenziamento, avrebbero lasciato l’azienda.

La qualifica non serve

Ma al di là degli degli andamenti quantitativi, l’indagine Excelsior svolta da Unioncamere consente di tracciare anche il profilo qualitativo dei nuovi posti di lavoro creati dalle imprese nella provincia di Terni. Anche da questo punto di vista, la realtà si mostra in progressivo deterioramento. Solo l’8% delle assunzioni previste per lo scorso anno riguardava figure ad alta qualifica (dirigenti, specialisti e tecnici), ben al di sotto dell’11% regionale e del 16% nazionale. Al contrario, il 41% di tutte le assunzioni attese si è concentrato nella fascia delle figure operaie (31% in Umbria e 23% in Italia). Le professioni più richieste sono, in particolare, operatori di macchine, cuochi, camerieri, baristi, e le professioni non qualificate nel commercio e nei servizi. Nel totale, questi gruppi professionali assorbono quasi la metà di tutte le assunzioni previste nella provincia.

Laureati non cercansi

Ugualmente poco incoraggiante il quadro che si evince dai numeri relativi ai titoli di studio richiesti dalle imprese locali per le assunzioni previste. Per ogni 100 assunzioni, solo 5 sono destinate a laureati. Una percentuale decisamente insoddisfacente anche se raffrontata con quella media regionale, pari all’8%, e ancor più rispetto a quella media nazionale, che pure non supera un modesto 11%. Per quasi la metà dei nuovi posti di lavoro disponibili presso le imprese della provincia non è richiesto alcun particolare titolo di studio (la stessa quota era pari al 27% nel 2013). La crisi economica attraversata dal territorio ternano non lascia intravedere l’emergere di nuove realtà, più dinamiche e capaci di generare posti di lavoro qualificati. L’economia locale fin qui si è come rattrappita sotto i colpi della crisi, ritraendosi nei settori meno qualificati. Anche esempi imprenditoriali interessanti e innovativi sono rimasti, fin qui, casi isolati che non riescono a fare sistema e a caratterizzare in modo nuovo il profilo della struttura economica locale.

AUTORE: Azione cattolica diocesana Settore adulti