Tesori nascosti nell’area archeologica di Pagliano

Sono ripresi i lavori di scavo e ricerca, visibili anche ai visitatori

Che il termine Pagliano avesse un riferimento reale e circoscritto è da più di un secolo che si sa: una stretta lingua di terra posta alla confluenza fra il Tevere e il Paglia – è il Paglia che si getta nel Tevere o viceversa? – secolare “quaestio infinita”; vince il Tevere, perché viene da più lontano – a poca distanza da Orvieto, nei pressi di Baschi Scalo, che avrebbe dovuto fungere da porto fluviale, da capolinea per le imbarcazioni che da Roma andavano verso il nord, prima di affrontare le proibitive rapide del “Forello”. Alla fine dell’Ottocento, dopo una serie di sopralluoghi succedutisi in vari periodi, la Banca romana, proprietaria di quel terreno, sulla stregua di previi rinvenimenti e indicazioni, finanziò un’operazione di scavo sistematico, affidata alla direzione dell’archeologo orvietano Riccardo Mancini, noto per aver già riportato in luce una parte della necropoli, chiamata del Crocefisso del Tufo, esistente in un sacello poco distante scavato nella rupe. Le operazioni di scavo, svoltesi tra il 1889 e il 1890, portarono all’individuazione di una serie di ambienti collegati tra loro (circa 70), di cui solamente 28 furono regolarmente riportati alla luce e recuperati, evidenziando un costrutto in gran parte rivestito in opus reticolatum. Ne venne fuori una massa di materiale archeologico, fra cui ceramiche comuni e sigillate, molte monete, resti di mosaici e di dipinti, che furono provvisoriamente riposti e conservati fino al 1905, nei magazzini della fattoria di Corbara, ex castello medioevale, in attesa di essere acquisiti dal museo orvietano: ciò non è mai avvenuto, perché a varie riprese gli oggetti andarono dispersi o venduti. Intanto con il fallimento della Banca romana, dopo il 1890, e l’acuirsi della situazione economica, i finanziamenti finirono e gli scavi vennero sospesi. Bisogna risalire fino al 1925 e 1926 per rivedere qualcosa muoversi per l’intera area, quando la Soprintendenza di Firenze, che allora ne aveva il dominio giuridico, propose un’opera di ripulitura delle strutture per salvarle da evidente deterioramento, data la mancanza di adeguata manutenzione; nel 1930, appena un progetto per il recupero e la sistemazione dell’area, ma che non andò in porto, guarda caso, proprio lì, a Pagliano. Se ne riparlò altre volte e si discusse pure e ci nacque anche qualche studio – ci corre l’obbligo di amicizia e di stima alludere alle ricerche del compianto professor Cesare Morelli, ma di scavi e di riscoperte vere e proprie non se ne trattò più. Oggi, i circa 20.000 metri quadrati d’interesse archeologico sono oggetto dell’azione congiunta della soprintendenza ai Beni archeologici per l’Umbria, del Comune di Orvieto, della Regione Umbria e della Comunità montana “Monte Peglia e Selva di Meana” per la realizzazione di un progetto finalizzato all’inserimento di Pagliano in un percorso complessivo di carattere archeologico, integrato nel Parco stesso di Orvieto. La Comunità montana ha fornito mezzi e manodopera per una preliminare ripulitura della zona; dalla soprintendenza i finanziamenti ordinari, disposti dal ministero, per il restauro delle strutture e la ripresa dello scavo; da tutti l’attenzione il vivo interesse perché si faccia finalmente luce sull’effettiva consistenza e valore di questo porto fluviale. La cui esistenza dovrà portare al rivoluzionamento di non poche ipotesi storiche, tra le quali anche quella dell’origine del cristianesimo e del costituirsi della prima Chiesa nel territorio orvietano, ritenendosi questo porto una delle porte possibili, non solo stradali, per la primitiva diffusione cristiana, dato il legame diretto, mediante il corso del fiume, con Roma stessa. Sabato 6 luglio, alle ore 18, ha avuto luogo l’inaugurazione dell’area archeologica del porto romano di Pagliano. I lavori di scavo, ripresi in questi giorni a cura della soprintendenza ai Beni archeologici dell’Umbria, sotto la direzione di Paolo Bruschetti, getteranno non poca luce sulla storia interessante di questo approdo fluviale e saranno accessibili e visitabili da parte del pubblico, che così potrà cogliere ‘de visu’ gli aspetti più sorprendenti della moderna tecnica di riscoperta e restauro di tesori antichi. Al fine di agevolare il percorso di accesso all’area archeologica, sono stati approntati pannelli didattici e indicazioni stradali con il contributo della Fondazione della locale Cassa di risparmio e curata la pubblicazione di un depliant illustrativo a cura della tenuta di Corbara.

AUTORE: M.P.