Tornare allo spirito di Assisi

L’editoriale

È’ passata quasi inosservata la data del 27 ottobre: 23 anni fa (1986) Giovanni Paolo II, con il suo straordinario carisma, riuscì a mettere insieme ad Assisi, accanto alla tomba di san Francesco, capi di religioni distanti tra loro come possono essere i buddisti e i musulmani, i cristiani e gli animisti. Chi, in questi giorni, vi ha dedicato una qualche riflessione – a quanto mi risulta è avvenuto ad Assisi e a Perugia – ha dovuto constatare un cambiamento del clima nei rapporti tra uomini di diversa religione. Si è diffuso sospetto, diffidenza ed anche paura gli uni degli altri. Le notizie internazionali acuiscono le tensioni e gettano un’ombra anche sulle relazioni interne al nostro Paese, che non avrebbero motivo di essere conflittuali per ragioni religiose. Ritornare a quello “spirito di Assisi” rimane un impegno dei credenti che non usano la loro fede contro altri, anzi, cercano di mettere a disposizione le ragioni della propria fede, facendo a loro volta tesoro delle altrui esperienze religiose.Un tema, infatti, proposto per la Giornata del dialogo cristiano islamico, l’VIII che si svolge in Italia, è stato “La gioia di raccontarsi la vita”. E la vita può fare breccia nel cuore delle persone, anche quando le dottrine professate divergono. La vita dei popoli in cerca di pace era anche iI tema della Giornata di Assisi del 1986. Al tramonto di quella storica giornata, fredda e nuvolosa, un arcobaleno apparve all’orizzonte occidentale, quasi a sigillare un’alleanza divina con gli uomini della preghiera e della pace. Nel corso degli anni le nuvole si sono infittite e le speranze in parte deluse. L’alleanza e i doni del Cielo non sono opera di magia e neppure a buon mercato: gli uomini devono conoscerne il prezzo e dimostrare la buona volontà di pagarlo. Nel nostro agire quotidiano, possiamo fare la nostra parte per la causa della pace, favorendo l’integrazione degli stranieri nella nostra società aiutandoli a diventare progressivamente cittadini a pieno titolo, insegnando la nostra lingua, trasmettendo loro i nostri valori cristiani di solidarietà, di libertà, uguaglianza, fraternità, rispetto, attraverso l’esempio e aprendo a tutti le vie dei nostri saperi. Purtroppo questo non avviene e spesso trasmettiamo solo difetti e al più i “sapori”. Questo lavoro è lento, collettivo, coinvolgente. Siamo tutti chiamati in causa, A questo proposito si deve dire che non vi sono facili scorciatoie. La proposta di una lezione di islàm nelle scuole pubbliche, ha tutta l’aria di essere una provocazione di chi non sa, o finge, che cosa sia la religione musulmana, né è a conoscenza delle peculiari ragioni che rendono utile e legittimo l’insegnamento della religione cattolica. L’insegnamento della religione islamica, infatti, non potrebbe avere altro scopo che trasmettere principi e ragioni di fede, compito della famiglia e delle istituzioni religiose, aprendo una spirale pluralistica senza fine, mentre l’insegnamento cattolico ha, per statuto, carattere culturale, destinato a trasmettere i principi del cattolicesimo in quanto ”patrimonio storico del popolo italiano”, come suona nel Concordato del 1984 (n.30). Come dire che è la chiave per interpretare la cultura e la storia del popolo italiano. Perciò a tale insegnamento possono liberamente partecipare studenti non credenti e di altre religioni. Altre vie percorribili per un sincero dialogo e per favorire l’integrazione in questo momento non si vedono.

AUTORE: Elio Bromuri