Tra storia e leggenda

Festa del Sant'Anello. La storia di una devozione che ha segnato l'identità della città di Perugia

Vi sono tradizioni e leggende ripercorrendo le quali a ritroso nel tempo, nel tentativo di trovare un improbabile filo di Arianna, lo storico finisce per impantanarsi in una nebulosità senza contorni. È questo il caso dell’anello con il quale si vuole siano stati uniti in matrimonio la Madonna e San Giuseppe. Dalla Palestina a ChiusiSulle circostanze relative alla ‘trasmigrazione’ del Sant’Anello dalla Palestina all’Italia è notte fonda. La leggenda vuole che la preziosa reliquia (se di reliquia si tratta) sia stata portata a Chiusi da santa Mustiola, appena qualche tempo prima del martirio subìto durante la persecuzione che imperversò sotto l’impero di Aureliano. I primi a dare rilievo storico alla reliquia furono il Muratori, nei suoi Annali, ed il nostro Pellini nella sua Historia di Perugia. Dalla loro testimonianza sappiamo che la devozione per il Sant’Anello era profonda già nell’ottavo secolo e diffusa in vaste zone dell’Italia centromeridionale, con particolare riferimento all’Abruzzo ed al basso Lazio (Ciociaria). L’avventuroso furto di fra WinterioDalla chiesa di Santa Mustiola in Chiusi l’Anello era stato trasferito (anche per motivi di sicurezza dal momento che la prima sede si trovava al di fuori delle mura urbiche) nella cattedrale di San Secondiano e, successivamente, 70 anni dopo, presso la chiesa di San Francesco officiata dai frati Minori Conventuali. Le cronache del Muratori e del Pellini, a tale proposito, sono succinte, quasi scheletriche, ma sufficientemente chiare. Non si sa con esattezza, ad esempio, quale fu la molla che il 2 luglio del 1473 fece scattare nell’animo di un monaco tedesco, tramandatoci con il solo nome di Winterio, il desiderio di fuggire dal convento di San Francesco in Chiusi portando con sé la preziosa reliquia, né per quale strana coincidenza scelse di fermarsi proprio a Perugia. Il Bonazzi avanza l’ipotesi di una persecuzione, da parte degli altri frati del Convento, alla quale il buon Winterio avrebbe deciso di porre fine, vendicandosi altresì ‘de’ tanti patimenti subiti’. Il Gurrieri narra come il frate tedesco intendesse portare il Sant’Anello a Magonza (forse sua città d’origine) e fosse costretto, invece, per un improvviso, quanto provvidenziale, malore a fermarsi a Perugia. Entusiastiche accoglienze a PerugiaIl Gigliarelli, infine, lascia trapelare tra le righe la possibilità che si trattasse di un vero e proprio furto su commissione da parte di taluni ambienti perugini. L’interpretazione si sposa abbastanza bene con il trattamento principesco che Perugia riservò al ‘donatore’, il quale ottenne in cambio un premio particolarmente munifico ed ambito per un semplice fraticello: quello di avere una gratuita residenza in piazza Grande (oggi IV Novembre) unito al titolo di Rettore della chiesa. Fra’ Winterio, appena arrivato nella città del Grifo, andò a trovare un suo vecchio conoscente, Luca Delle Mine, che si prestò a fare da tramite con Matteo Francesco Montesperelli che, in quel momento, rivestiva l’importante incarico di Capo dei Priori. La notizia, sparsasi fulmineamente per la città provocò tali manifestazioni di giubilo e di entusiasmo tra la cittadinanza che il 6 agosto i Priori furono costretti, a furor di popolo, a mostrare in pubblico il Sant’Anello. Subito dopo i maggiorenti della città reputarono opportuno mettere al sicuro la reliquia chiudendola in un forziere di ferro con sette serrature e con altrettante chiavi distribuite a cospicue personalità del libero Comune e della gerarchia ecclesiastica. Il forziere, custodito in un primo tempo nella cosiddetta cappella dei Signori, venne poi definitivamente trasferito in cattedrale, nella cappella di San Giuseppe (nella parte della chiesa opposta a quella dell’altare maggiore) che, da allora, è comunemente conosciuta come cappella del Sant’Anello. Sull’orlo della guerra di religioneCronache e storie ci tramandano anche la grave tensione insorta tra perugini e senesi in seguito all’evento che venne vissuto, nella vicina Toscana, come un fatto gravemente oltraggioso e luttuoso. Di fronte alla recisa opposizione di Perugia alla richiesta restituzione del ‘maltolto’ sembrò, anzi, ad un certo punto, che fosse inevitabile lasciare la parola alle armi. In un primo tempo i senesi avevano già cominciato a mobilitare sentendosi spalleggiati dal papa al quale si erano rivolti per avere giustizia. In effetti è da ritenere che a sconsigliare il papa Sisto IV, e di conseguenza i senesi, dall’imbarcarsi in una incerta avventura, fosse stata la decisa presa di posizione di Braccio Fortebracci che si era dichiarato pronto a ‘perdere lo Stato e i figlioli’ per la causa di Perugia e del Sant’Anello e, soprattutto, l’ingente stanziamento di quarantamila fiorini effettuato dai Priori per finanziare l’eventuale conflitto. Devozione e folklore in oltre cinque secoli di tradizioneDa quell’inizio di agosto di oltre cinque secoli fa, ad ogni annuale ricorrenza, i sette consegnatari delle chiavi convengono in cattedrale per consentire l’apertura del forziere e la ‘ostensione’ al pubblico del Sant’Anello nel prezioso tabernacolo scolpito nel 1517 da Cesare Di Francesco di Valeriano detto il Roscetto. Una devozione coltivata dai perugini (specialmente da quelli più avanti con gli anni) ma tramandata anche in Ciociaria e in Abruzzo con folle di penitenti che, dopo avere baciato in duomo l’anello nuziale della Madonna, si recavano a piedi a Santa Maria degli Angeli per partecipare alle cerimonie francescane del Perdono.

AUTORE: Giancarlo Scoccia