Tre domande ai leader del G8

Economia. Un esperto mette in luce i 'vuoti' e le contraddizioni del summit

Il G8 de L’Aquila è stato un notevole successo organizzativo e di leadership per l’Italia e il suo governo. Lo ha dichiarato il Presidente della Repubblica e la gran parte dei commentatori si è ritrovata in questo giudizio. Ma esso non intacca una realtà di fondo, cioè che questi summit rimangono dei vuoti esercizi retorici che servono ai leader dei grandi Paesi, da un lato, per discutere congiuntamente dei problemi del mondo e, dall’altro, per lanciare messaggi tranquillizzanti alle rispettive opinioni pubbliche, con il supporto dei mass media che ne danno un enorme risalto. Infatti il grosso del lavoro di intesa viene fatto dietro le quinte, dagli sherpa, che nelle settimane precedenti limano le parole dei documenti ufficiali, per non incorrere in qualche scivolone diplomatico. Prendiamo le dichiarazioni finali di questo vertice. Esse sono piene di grandi principi, di impegni solenni, di buoni propositi. Ci si rende però subito conto che non c’è nulla più di ciò e nulla ci può essere. Per avere un carattere normativo, un’entità dotata di potere di enforcement dovrebbe giudicare come sono concretamente attuate le prese di posizione dei Paesi del G8 nelle legislazioni nazionali e sovranazionali. Ma a questo non si è mai arrivati e forse non ci si arriverà mai: proprio i grandi Paesi non hanno alcuna intenzione di cedere neanche un minimo di sovranità nazionale a nessuna entità superiore. Sappiamo quanta difficoltà incontra il processo di integrazione europeo. Si può facilmente immaginare che questa difficoltà risulterebbe moltiplicata per mille, se si volesse tentare un’operazione di devoluzione di sovranità su scala planetaria. Pertanto, dobbiamo accontentarci di quello che passa il convento. Ma anziché limitarci a commentare alcune parole, per quanto credibili e autorevoli, vorremmo fare alcune domande ai leader del G8. Non che abbiamo la pretesa che essi leggano queste poche righe. Tuttavia crediamo che queste siano le domande che la cosiddetta opinione pubblica si pone. E quindi, presto o tardi, i leader dovranno fare i conti con esse. La prima domanda ha a che fare con il dopo-crisi. Prendiamo per buono che le politiche monetarie e fiscali attuate ci aiutino ad uscire relativamente presto dalla grave recessione che ci sta colpendo (comunque sia, per quanto fortunati, non vedremo questa uscita prima del 2010). La domanda che poniamo è la seguente. Chi ci dà la certezza che la ripresa non porterà con sé i vecchi vizi dell’indebitamento eccessivo e della sregolatezza finanziaria? Il dubbio ci viene perché, per evitare queste tentazioni, c’è una sola via da seguire: ridurre gli enormi squilibri nelle bilance dei pagamenti dei grandi Paesi del mondo, Usa e Cina in testa. Finché gli Usa consumeranno molto di più di quanto producono e la Cina produrrà molto di più di quanto consuma, non ci sarà tregua nella finanza mondiale. Ma gli Usa sono disposti a rinunciare al loro tenore di vita? E la Cina è disposta ad aumentare il livello di consumo della sua popolazione, con le conseguenze sociali che questo comporta? E qualora lo facesse, che conseguenze avremmo sulle risorse del pianeta? La seconda domanda ha a che fare con il consueto esercizio retorico degli aiuti allo sviluppo dei Paesi poveri (in particolare quelli africani), che viene puntualmente proposto nei vertici del G8. Davvero i leader dei Paesi ricchi pensano che, destinando 20 milioni di euro all’Africa, possono risolverne i problemi? Non sarebbe meglio finalmente togliere i vincoli al commercio mondiale che impediscono ai Paesi africani di vendere i loro prodotti agricoli nei Paesi ricchi? Forse in questo modo si potrebbe aggirare l’annoso problema del passaggio di denaro straniero per le mani corrotte dei governi e delle amministrazioni pubbliche. Ma immaginate le lotte degli agricoltori europei contro una tale apertura! La terza domanda riguarda quindi proprio il G8, o G14 o G20, che dir si voglia. Perché si continuano a spendere risorse di denaro e di tempo per questi consessi e si rifiuta di fare l’unica cosa che davvero servirebbe, cioè dare più potere all’Onu, alla Banca mondiale e al Fondo monetario? Certo i governi nazionali perderebbero peso e prestigio. Ma siamo sicuri che le opinioni pubbliche dei vari Paesi, in questo momento, non pensino che in fondo sarebbe meglio così, visto che i governi non sono riusciti ad evitarci la più grande crisi economica da 70 anni a questa parte? Ci vorrebbe una nuova Bretton Woods. Ma ci sono in giro leader in grado di metterla in piedi e di sedersi a quel tavolo, avendo davvero sulle spalle il peso del futuro?

AUTORE: Nico Curci