Un dono per l’umanità

Alleluja! “Un bimbo ci è nato, un figlio ci è donato” grida il profeta Isaia nel secondo degli Oracoli sulla nascita del Messia. Nel primo Oracolo (8,21-23) canta la fine dell’oppressione da parte degli Assiri e nel secondo -che è quello che ascoltiamo la Notte di Natale- annuncia l’intronizzazione regale di colui grazie al quale è avvenuta la liberazione. Dapprima propone l’immagine di una visione notturna di una luce alludendo al pellegrinaggio che di notte gli israeliti facevano verso Gerusalemme che raggiungevano proprio al momento del sorgere del sole i cui primi raggi illuminavano la città santa. Poi si riferisce metaforicamente all’Assiria (cfr. 10,5.15.24) parlando di “giogo, sbarra e bastone”, ma soprattutto descrivendo i “calzari rimbombanti” che erano tipici dell’armatura dei soldati assiri accentuando così la loro prepotenza. Ma la liberazione da questa tirannia coincide con la nascita di un bambino-re discendente di David il cui regno il Signore stabilirà e confermerà “con il diritto e la giustizia da ora e sempre”. A questo bambino-re sono attribuiti titoli divini simili a quelli che venivano rivolti al faraone nel momento della sua solenne incoronazione. Ma mentre nel caso del faraone i titoli servivano per esaltare la sua figura, qui attendono piuttosto alle virtù che il re profonde a favore della comunità. La sapienza, la potenza e la paternità sono caratteristiche esercitate infatti a vantaggio della pace che dovrà caratterizzare per sempre il regno. Lo stesso titolo “Principe di pace” che è un ossimoro in quanto il sostantivo ‘principe’ (sar) in ebraico ha un significato legato al comando militare quindi non coniabile con ‘pace’, qui sta ad intendere invece lo sforzo disarmato (Gdc 7) per la vittoria della pace sulle insidie dell’odio e della divisione. Questo programma lo mette in atto il Signore che il Salmista invita a lodare con “un canto nuovo” perché è Lui che “regna” e rende “stabile il mondo e non potrà vacillare” per cui l’invito ad annunciare “di giorno in giorno la sua salvezza”. E di “salvezza” arrecata a tutti gli uomini è la Lettera a Tito a parlarcene nella liturgia della Notte e dell’Aurora del Natale, sì, perché è come se l’Autore per parlare della venuta nel mondo di Gesù avesse voluto scegliere un destinatario autorevole! Tito, definito da Paolo “fratello”, “compagno e collaboratore” (2Cor 2,13; 8,23) ha svolto infatti un ruolo fondamentale nelle relazioni con la comunità di Corinto cui ha fatto da mediatore nella risoluzione di alcuni problemi interni e per l’organizzazione di una colletta (2Cor 7; 8). Soprattutto la sua presenza era motivo di tranquillità per gli stati d’animo di Paolo e della comunità (2Cor 2,13; 7,6-7). Di origine pagana, probabilmente convertito da Paolo stesso (Tt 1,4), e suo compagno nel viaggio a Gerusalemme (Gal 2,1), ha dato la sua vita per l’evangelizzazione. La Lettera che ‘Paolo’ gli invia e che conferma la sua stima per Tito che chiama “mio vero figlio nella medesima fede” contiene una serie di paterni consigli in merito al governo della comunità di Creta e, nel brano di nostro interesse, interrompe questo stile pastorale per ricordare piuttosto il fondamento su cui tutto deve poggiare: Gesù Cristo. Parla infatti della ‘manifestazione’ della “grazia di Dio, apportatrice di salvezza a tutti gli uomini” e il verbo greco (epifainō) che esprime il ‘rendere visibile’, ‘manifestare’, ‘risplendere’ con riferimento a Cristo è usato nel NT solo in poche occasioni di cui una è proprio qui per alludere all’evento ‘Cristo’ il solo che “ci insegna a rinnegare l’empietà e i desideri del mondo, a vivere con sobrietà, giustizia, e vera religiosità nell’attesa della beata speranza”. Entriamo perciò nell’atmosfera del giorno e dell’ambiente in cui il Figlio di Dio si è ‘manifestato’ facendosi uno di noi. Siamo al tempo di Cesare Augusto, il primo vero ‘imperatore’ romano che ha governato per ben 44 anni fino alla morte avvenuta nel 14 d. C. e in questo contesto storico si parla del censimento “di tutta la terra”. A questo punto compaiono Giuseppe e Maria che è incinta e che ‘salgono’ (secondo l’AT sempre si ‘sale’ quando si va in Giudea) a Betlem, città natale del re David a 8 km da Gerusalemme. Durante (letteralmente) il “loro essere lì” Maria diede alla luce il “primogenito”, titolo che si attribuiva al primo figlio nato, sia esso poi rimasto unico o primo di altri figli (Es e Nm), comunque ‘primogenito’. Segue poi un’immagine che ci sembrerebbe scontata, cioè Maria che avvolge in “fasce” Gesù, ma in realtà -biblicamente parlando- questa è anche una metafora per intendere il prendersi molta cura di una persona particolare, come fu per il re Salomone, figlio del re David (invece per dire che non si considerava affatto qualcuno o qualcosa si dice che ‘non viene avvolto in fasce’, es. Ez 16,4). Poi l’Autore insiste sul luogo in cui viene collocato il neonato perché per ben 3 volte parla di “mangiatoia”e sono ospiti in un ‘alloggio’ o ‘casa’. Il sostantivo greco katalyma può essere tradotto con ‘albergo’, ‘alloggio’, ‘casa’, ma di certo dobbiamo escludere l’idea dell’albergo considerando il carattere sacro dell’ospitalità giudaica. Maria e Giuseppe erano senz’altro ospiti presso l’abitazione dei parenti di Giuseppe e, pensando alla mancanza di spazio (non c’era posto), ma anche alle leggi dell’‘impurità della puerpera’ (Lv 12,1-8) per cui Maria non poteva stare nella parte frequentata dagli altri, si può supporre che le fosse ‘riservata’ la stanza interna della rimessa degli animali. A questo punto entrano in scena i ‘pastori’ a cui viene annunciato l’Evento. I pastori, in virtù del loro peregrinare da una terra all’altra, entravano anche in territori non israeliti e quindi ‘impuri’ e non erano in grado quindi di osservare perfettamente la Torah. Eppure proprio ad essi si manifestano gli Angeli e con un annuncio non solo della Nascita di Gesù, ma anche con un messaggio salvifico che li riguarda nell’“oggi”. E tenendo conto dell’uso che dell’avverbio ‘oggi’ viene fatto nei Vangeli (Lc 4,21, 19,5.9) il significato più che il tempo cronologico è quello di ‘tempo favorevole’ (kairos). Questo è il tempo favorevole della Salvezza! Pensiamo il paradosso: Cesare Augusto era stato insignito del titolo di ‘salvatore’, infatti il suo impegno politico aveva ottenuto un periodo di assenza di guerre, ma Gesù che è colui che ‘salva’ (già nel significato del nome) viene a portare la pace che è molto di più dell’astensione dall’azione bellica: è pienezza e bellezza del vivere. Gli Angeli cantano la gloria a Dio. “Doxa” vuol dire ‘opinione’, ma qui sta per ‘gloria’, ‘fama’, perché è il sostantivo con cui la LXX traduce l’ebraico kabod e la storia biblica ci insegna che la gloria di Dio è usata a vantaggio dell’uomo nel momento della Creazione, dell’uscita dall’Egitto e nell’atto del ‘abitare’ il Tempio. Lasciamoci allora meravigliare e coinvolgere: con la nascita di Gesù la gloria di Dio diventa la gloria dell’uomo! “Vergine e Madre Maria, tu che, mossa dallo Spirito, hai accolto il Verbo della vita nella profondità della tua umile fede, totalmente donata all’Eterno, aiutaci a dire il nostro “sì” nell’urgenza, più imperiosa che mai, di far risuonare la Buona Notizia di Gesù” (Papa Francesco, EG).

AUTORE: Giuseppina Bruscolotti