Una torre secondo le fonti si ergeva anche nel territorio di Mucciafora

I numerosi presìdi difensivi lungo il tratto stradale da Terni a Cascia

Tra le testimonianze storico-culturali che abbelliscono la Valnerina sono da considerare senza dubbio le torri di segnalazione. Se ne possono osservare molte seguendo la strada che da Terni risale, costeggiando per lungo tratto il fiume Nera, fino a raggiungere Cascia. Proprio nel territorio del comune di Cascia sono presenti alcuni esemplari di questi presìdi difensivi; alcuni possono essere ammirati quasi nella loro interezza, come quelli nelle frazioni di Collegiacone e di S. Giorgio; di altri è rimasto abbastanza per suscitare il rimpianto di quanto è andato perduto, come a Poggioprimocaso; la torre di Roccatervi è ridotta ad un cumulo di pietre; di quella di Ocosce è rimasto solo il toponimo. Si sa per certo che ne fu costruita una anche nella frazione di Mucciafora, nel comune di Poggiodomo (che fino a due secoli fa apparteneva al contado di Cascia): nel 1503 i “massari” e gli uomini del castello di Mucciafora convocarono alcuni mastri muratori, o lombardi, tutti di Caglio, nella provincia di Como, tranne uno, di Cascia, ai quali dettero l’incarico di fabbricare una rocca o torre attorno alla vecchia torre del castrum. Furono precisate e accettate, davanti al notaio, le condizioni riguardanti il tempo, le misure, le paghe. I mucciaforini si impegnarono a fornire la calcina, le pietre, la rena, l’acqua, i conci lavorati, le funi, le catene, il ferro e il necessario per le impalcature. I mastri potevano disporre anche delle pietre che si trovavano ad una certa distanza e che appartenevano a casaleni diruti. Secondo studi recenti nel 1515 il castello di Mucciafora fu distrutto per rappresaglia dagli spoletini, contro i quali alcuni suoi abitanti combatterono per prestare aiuto agli assediati della Rocca di Cascia, ribelli all’autorità del Papa. Trascorsi molti anni, nel 1592, non rassegnati a quella perdita, i mucciaforini si riunirono nella casa della chiesa di S. Giuliana, sede abituale per i pubblici consigli, dopo esserne stato dato avviso per mezzo di un pubblico baiulo (banditore), per discutere della necessità di rifare le mura e la rocca. Si pensò di incaricare due uomini o “sindici” che provvedessero a ciò anche vendendo alcuni beni della comunità e riscuotendo le somme dovute da ogni persona; si rese necessario anche eleggere un soprastante con compiti specifici. La decisione venne messa ai voti con le fave: i favorevoli furono diciotto, e quattro i contrari. L’ultimo atto fu il solenne giuramento dei sindici e dei massari sulle sacre scritture. Di questi grandi lavori non sopravvive nemmeno una traccia; ma i documenti sono ugualmente interessanti perché ci informano dei poteri e delle competenze che avevano le “università” (oggi denominate comunanze): il consiglio, al quale aveva diritto di partecipare un rappresentante di ogni “fuoco”, o nucleo familiare, poteva imporre ad ogni famiglia, e talvolta ad ogni persona, il versamento di un contributo per la realizzazione di un’opera che riguardava l’intera comunità, stabilire delle sanzioni per chi non rispondeva; avevano quindi una grande importanza. Inoltre l’atto notarile del 1503 ci rende noto che per il pagamento delle opere dei muratori, a costoro venne corrisposto lo stesso compenso che ebbero per portare a termine la Rocca di Cascia e quella di Civita: dunque, oltre al nome degli architetti della fortezza di Cascia, si conoscono anche quelli dei mastri muratori che eseguirono il progetto e lo portarono a termine circa venti anni prima.

AUTORE: Maria Laura Di Lodovico