I Vescovi umbri in pellegrinaggio ecumenico in Bosnia-Erzegovina

Nel segno della fraternità, condivisione e speranza si è concluso il pellegrinaggio ecumenico dei vescovi umbri in Bosnia-Erzegovina (18-22 luglio), guidato dal cardinale Gualtiero Bassetti, presidente della Conferenza episcopale italiana (Cei) e dall’arcivescovo Renato Boccardo, presidente della Conferenza episcopale umbra (Ceu).

            Un pellegrinaggio alla scoperta della ricchezza della storia di questo Paese, che è stato nei secoli crocevia di culture, commerci, religioni e che oggi, dopo la guerra civile degli anni Novanta, tenta di divenire un laboratorio di dialogo interreligioso, di convivenza pacifica tra culture molto diverse.

Incontrati i rappresentanti di diverse Istituzioni religiose

Nei giorni trascorsi tra le città di Spalato, Mostar e Sarajevo, i vescovi umbri hanno incontrato il cardinale Vinko Puljić, arcivescovo di Sarajevo, il nunzio apostolico monsignor Luigi Pezzuto, monsignor Enryk Hoser, visitatore apostolico per la parrocchia di Medjugorje, padre Miljenko Šteko, provinciale dei frati minori dell’Erzegovina, monsignor Ratko Perić, vescovo di Mostar-Duvno, e monsignor Marin Barišić, arcivescovo di Spalato-Makarska.

Lievito di riconciliazione

Il cardinale Bassetti, nell’assicurare l’appoggio della Cei (come già avvenuto in passato), ha espresso l’augurio che i cattolici sappiano essere, benché in minoranza: «lievito di una società che ha bisogno di riconciliazione e di guardare al futuro con speranza. Tutto ciò specialmente con l’educazione dei giovani, con programmi di formazione e anche di lavoro per fermare l’esodo verso altri Paesi, che i vescovi lamentano e che costituisce certamente un impoverimento della Chiesa e dell’intera società».

La dura prova della guerra…Testimone della forza vitale del messaggio cristiano

            Nella città di Sarajevo l’abbraccio e il dialogo con il cardinale Puljić, da 25 anni alla guida dell’Arcidiocesi, che appena nominato arcivescovo ha affrontato la dura prova della guerra, rimanendo tra la gente e condividendo con cattolici, ortodossi e musulmani la difficoltà di vivere ogni giorno in una città assediata. «E’ stato un artefice di dialogo – ricorda il presidente della Ceu monsignor Boccardo – di conoscenza reciproca, operatore di pace. La sua testimonianza, non soltanto ha toccato la sensibilità e suscitato ammirazione ed emozione, ma ci fa vedere, anche oggi, la fecondità del Vangelo, ci fa ammirare uomini che sono testimoni viventi della forza vitale del messaggio cristiano. La forza della verità, la fecondità della carità, diventano per noi una scuola, un insegnamento che dobbiamo raccogliere».

Opere pastorali segni di riappacificazione

            Questo Paese, multietnico, multiculturale e multireligioso porta ancora i segni della guerra lungo le strade, sui muri delle case, nel Memoriale della strage di bambini e di altre persone inermi, nelle rose di sangue lasciate sulla strada dalle granate; porta i segni della violenza nella memoria di chi l’ha vissuta direttamente. Significativo, al riguardo, è stato l’incontro dei vescovi umbri con i sacerdoti e laici, che stanno portando avanti tante opere pastorali al servizio della comunità e in particolare dei giovani, realizzate con il contributo della Chiesa italiana, come il centro pastorale giovanile “Giovanni Paolo II”, lo studentato per universitari e la fondazione collegata che fornisce borse di studio, o a Mostar dove si stanno costruendo delle nuove chiese, gli oratori, i centri della comunità.

Ricostruzione non solo materiale, ma umana

«I vescovi che abbiamo incontrato, i sacerdoti, gli altri operatori della pastorale – sottolinea monsignor Boccardo – hanno evidenziato l’importanza della solidarietà della Chiesa, della Caritas, delle associazioni e dell’aiuto che hanno ricevuto dalla Chiesa italiana grazie all’8xMille, per realizzare tante opere che non sono solo una ricostruzione materiale, ma umana. Questo è un segno concreto di fraternità e di comunione, quello che noi diamo serve per la vita quotidiana di queste Chiese, che stanno rinascendo».

Guardare al futuro, no prigionieri del passato

Dare speranza alla popolazione è oggi l’intento della Chiesa cattolica di Bosnia, come ha detto il nunzio apostolico monsignor Pezzuto: «il popolo deve guardare al futuro e non rimanere prigioniero del passato. La memoria storica deve conservarsi, ma aprirsi al futuro per dare nuova speranza».

I cattolici il 15% della popolazione, ma molto attivi nella solidarietà per favorire dialogo e pace

            La Chiesa cattolica a Sarajevo è una minoranza e rappresenta il 15% della popolazione (il 50% è musulmana e il 34% è ortodossa), passata dai 500mila cattolici prima della guerra agli attuali 170mila, in un generale abbandono del Paese da parte dei giovani. Per arginare questo fenomeno si cerca di dare un futuro alle nuove generazioni, iniziando dall’accoglienza degli studenti. Essi, alla fine del corso di studi, vengono impiegati per un periodo nelle strutture della Chiesa locale, in particolare nel polifunzionale e moderno centro giovanile “Giovanni Paolo II”, per poi facilitarne un inserimento lavorativo definitivo, ma anche con attività di animazione nelle parrocchie e la presenza in scuole cattoliche e in alcune di formazione professionale.

In aiuto anche delle migliaia di migranti in transito lungo la rotta balcanica

Un Paese dove c’è una solidarietà diffusa con la presenza della Caritas italiana, che svolge spesso un ruolo di sussidiarietà alle carenze governative nell’aiuto e sostegno ai più bisognosi e di supporto alla Caritas della Bosnia-Erzegovina che, nata durante la guerra, opera oggi in tre diocesi nell’ambito della disabilità, dove mancano strutture pubbliche, a favore degli anziani, delle case di riposo, dei giovani, cercando di ridare  senso alla vita di molti con le opere che ha realizzato e porta avanti. Non secondario è l’impegno della Chiesa bosniaca per aiutare i migranti in transito lungo la rotta balcanica, che in oltre 23mila l’anno arrivano in Bosnia per tentare poi di proseguire verso i Paesi del Nord Europa. Una solidarietà che non fa distinzione di etnia e religione e che è un riflesso di quel dialogo interreligioso ripreso dopo la guerra con la costituzione di un consiglio che cerca di favorire l’incontro, il dialogo e la pace.

Elisabetta Lomoro