Era Lui che attendevamo

Commento alla liturgia della Domenica a cura di Bruno Pennacchini I Domenica di Avvento - anno C

Con questa prima domenica di dicembre comincia un nuovo anno liturgico: un nuovo ciclo dell’esperienza cristiana. Attraverso 52 settimane ci sarà riproposto un cammino insieme al Signore Gesù, la Vergine Maria e i santi: si apre con l’Avvento. La parola Avvento ha a che fare con “venuta, attesa…”. L’attesa per la venuta di chi? Di che cosa? Molti pensano al Natale. Pensato così, è un poco riduttivo. La liturgia guarda ad orizzonti molto più vasti e ci invita ad alzare lo sguardo oltre il quotidiano, per interrogarci sullo spessore delle nostre attese. Probabilmente al mondo non c’è nessuno che non aspetti qualcuno o qualcosa. La qualità delle nostre attese e delle nostre speranze è determinata dall’oggetto: chi attendiamo? Che cosa ci aspettiamo? Le ideologie hanno sempre preteso di avere risposte adeguate. La loro caduta – pensiamo alle più recenti – ne hanno mostrato l’inaffidabilità. C’è qualcosa o qualcuno di cui ci si possa fidare incondizionatamente? I cristiani credenti sanno dov’è la risposta affidabile: la loro speranza infatti non delude, perché “l’amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito santo che ci è stato dato” (Rm 5,5).

Oggi il profeta Geremia, a nome di Dio, annuncia che verranno giorni nei quale Egli “realizzerà le promesse di bene fatte alla casa di Israele e alla casa di Giuda” (Ger 33,14). Saranno giorni di “giustizia e di tranquillità”. Queste parole furono pronunciate in tempi non certo migliori dei nostri; erano tempi terribili di fame, guerra e distruzione. Il re di Babilonia aveva abbattuto le mura di Gerusalemme, distrutto il tempio, stava deportando i migliori della popolazione e lo stesso profeta era chiuso in prigione. Proprio nel profondo di quella realtà, Dio gli mette in bocca parole di speranza: Egli susciterà “un germoglio di Davide”.

Alcuni secoli più tardi, Gerusalemme ospiterà, senza saperlo, “il Germoglio”, il Signore nostro Gesù Cristo, principe della pace e garanzia dell’affidabilità di Dio, che manteneva così le promesse fatte al tempo di Geremia. Ma come essere certi, noi oggi, di non essere di fronte all’ennesima illusione? Solo rimanendo saldamente aggrappati alla Parola che ci è stata annunciata possiamo attendere il compimento della promessa. Le ultime parole del Salmo responsoriale ci aiutano a comprenderlo: “Il Signore si confida con chi lo teme: gli fa conoscere la sua alleanza”. Conoscere l’alleanza del Signore vuol dire fare esperienza del suo progetto di salvezza e di pace. Chi lo teme, ossia chi lo riconosce come suo Signore e Signore della storia, entra in confidenza con Lui, al di là delle parole. Quando due si amano, non hanno bisogno di parole per intendersi; così accade a chi vive un rapporto di confidenza con Lui, senza sospetti.

Due domeniche fa abbiamo ascoltato una lettura evangelica, secondo Marco, del tutto parallela a quella di oggi, che è presa dal libro dell’evangelista Luca. I due brani riportano lo stesso episodio; lo pongono nello stesso contesto e usano anche lo stesso linguaggio apocalittico. Sono vicini i giorni della passione, morte e risurrezione di Gesù. L’evangelista nota che egli trascorreva le sue giornate nel Tempio, predicando al popolo. Sembra approfittare del poco tempo che gli rimane. La sera si recava con i discepoli presso il monte degli Ulivi, dove trascorreva la notte. Con l’aria che tirava, forse non si sentiva sicuro di passare la notte in città.

La mattina dopo tornava nel Tempio in mezzo alla gente. Una di quelle sere, mentre uscivano, qualcuno lo invitò contemplare quella meraviglia architettonica che era il tempio di Gerusalemme. Egli rispose che di quella meraviglia sarebbero rimasti solo i ruderi. A partire da lì, annunciò le sofferenze indicibili che avrebbero accompagnato la distruzione della città, preannuncio e simbolo della fine di un mondo; il mondo della vecchia illusione, che vedeva nell’imponenza di quelle strutture una garanzia di indistruttibile stabilità. Era come se la garanzia della salvezza poggiasse su quelle pietre. Gesù, tempo prima, aveva annunciato che la nuova realtà comunitaria, la sua Chiesa, avrebbe poggiato su ben altra pietra: la fede di Pietro (Mt 16,18). E il vero tempio, davvero indistruttibile, sarebbe stato il suo Corpo gloriosamente risorto. Ma avvertì i discepoli che non sarebbe stato facile attraversare indenni quegli avvenimenti.

La cosa riguarda anche noi, che spesso fondiamo le nostre sicurezze sull’opera delle nostre mani, ma sperimentiamo anche nell’animo fragore di flutti, angoscia e paura di quello che potrebbe accaderci. Per questo ci è raccomandato di rimanere desti e sobri, di non lasciarci appesantire dagli affanni della vita, e di pregare incessantemente, in attesa del Figlio dell’uomo, che certamente verrà con potenza.

AUTORE: Bruno Pennacchini Esegeta, già docente all’Ita di Assisi