La pietà popolare

Molteplici e sorprendenti sono i modi in cui si esprime la pietà popolare, “connaturale espressione religiosa del popolo di Dio”. Purificata da eventuali eccessi e da elementi estranei e rinnovata nei contenuti e nelle forme, la pietà popolare consente non solo di veicolare e di riscoprire, nel loro significato più autentico, alcuni valori della tradizione cristiana, ma anche di raggiungere chi altrimenti rimarrebbe ai margini della vita di fede. Pertanto, le manifestazioni della religiosità popolare non possono essere considerate come un aspetto secondario della vita pastorale. “La pietà popolare, o religione del popolo, piuttosto che religiosità” – come ebbe a precisare Paolo VI nell’esortazione apostolica Evangelii nuntiandi –, se è ben orientata, soprattutto mediante una pedagogia di evangelizzazione, è un grande patrimonio per la Chiesa, anche perché rivela il suo vero volto, la sua identità profonda di “Corpo di Cristo che si manifesta come popolo di Dio”. La pietà popolare, “vero tesoro del popolo di Dio”, appartiene in modo primario alla nostra fede, poiché ciò che è particolarmente bello nella fede cattolica sono gli elementi che ne sollecitano i sensi. Molti guardano con una certa alterigia alla pietà popolare e, passo dopo passo, la vorrebbero espellere dalla vita della Chiesa. È doveroso ammettere, però, che lì dove viene praticata solo una “religione razionale”, la fede perde forza e, prima o poi, scompare del tutto. La fede non è un fatto solamente razionale; necessita anche di espressioni semplici e veraci, delle quali l’uomo avrà sempre bisogno. La fede ne risentirebbe pesantemente se non la si potesse più “toccare con mano”, se non coinvolgesse l’uomo intero, se non mantenesse un giusto equilibrio tra mente e cuore, tra pensiero e intuizione. La fede rimane viva solo se si rivolge a tutto l’uomo: spirito, anima e corpo! La pietà popolare si esprime in forme diversificate e diffuse che talora appaiono inquinate da elementi non coerenti con la dottrina cattolica. Non si può negare che esistono alcune forme deviate di pietà popolare, che creano confusione e possono favorire una pratica religiosa meramente esteriore e svincolata da una fede ben radicata e interiormente viva. C’è il pericolo di esplosioni ataviche, di una “liturgia esotica” parallela a quella ufficiale, come purtroppo capita là dove la religiosità non è evangelizzata ed eventualmente purificata con la luce della Parola, con la forza della preghiera, con il senso pastorale che conduce verso il mistero di Cristo e l’edificazione del popolo di Dio. In tali casi, a meno che incongruenze radicali non rendano necessarie misure chiare e immediate, occorre intervenire con prudenza e pazienza, tenendo presente che nella vita pastorale non si raggiunge alcun risultato significativo senza la collaborazione del tempo. “La pietà popolare tende all’irrazionalità – osserva Benedetto XVI –, talvolta forse anche all’esteriorità. Eppure, escluderla è del tutto sbagliato. Attraverso di essa, la fede è entrata nel cuore degli uomini, è diventata parte dei loro sentimenti, delle loro abitudini, del loro comune sentire e vivere”. Potenziata e assunta nell’alveo della liturgia, che conserva il suo carattere di “fonte e culmine” di tutta l’azione della Chiesa, la pietà popolare offre l’humus celebrativo necessario per un culto fervente del popolo di Dio, ricupera tesori della tradizione cattolica, sconfessa frettolose creatività liturgiche. È soprattutto nella parola biblica che la pietà popolare può trovare “una fonte inesauribile di ispirazione, insuperabili modelli di preghiera e feconde proposte tematiche”.

AUTORE: Gualtiero Sigismondi