L’antica tentazione del potere

Commento alla liturgia della Domenica a cura di Bruno Pennacchini XXIX Domenica del tempo ordinario - anno B

La scorsa domenica abbiamo lasciato Gesù con il gruppo dei discepoli, che avevano ascoltato, con qualche disappunto, la catechesi sulle ricchezze. Il brano evangelico si concludeva con Pietro che chiedeva cosa avrebbero avuto in cambio, loro, che avevano lasciato tutto. Gesù aveva risposto che avrebbero avuto il centuplo in questo mondo, “insieme a persecuzioni”, e la vita eterna in quello avvenire. Quell’accenno alle persecuzioni preludeva a qualcosa di più grosso. Nei versetti successivi (Mc 10,32-34) – non riportati dalla liturgia odierna – Marco sarà esplicito: la strada che stanno percorrendo sale verso Gerusalemme; Gesù va avanti a tutti con decisione; i discepoli che lo seguivano erano sgomenti e tutti gli altri impauriti.

In questo clima drammatico, Gesù prese a dire: “Ecco, noi saliamo a Gerusalemme e il Figlio dell’uomo sarà consegnato ai capi dei sacerdoti e agli scribi; lo condanneranno a morte e lo consegneranno ai pagani, lo derideranno, gli sputeranno addosso, lo flagelleranno e lo uccideranno, e dopo tre giorni risorgerà”. Era la terza volta che annunciava i fatti che avrebbero concluso la sua vicenda terrena. Al pari dei due annunci precedenti, i discepoli non riescono a capire la faccenda della morte e della risurrezione. Eppure parecchi secoli prima il profeta Isaia ne aveva parlato nel celebre quarto canto del Servo del Signore, che ascolteremo nella prima lettura: “Al Signore è piaciuto prostrarlo con dolori… Dopo il suo intimo tormento vedrà la luce e si sazierà della sua conoscenza; il giusto mio servo giustificherà molti, egli si addosserà le loro iniquità” (Is 53,10-11).

Loro sono sempre più convinti che stanno andando a Gerusalemme a prendere il potere. Non avevano dimenticato quelle sue parole: “Gli ultimi saranno primi”. Loro, ultimi nella società del tempo, stanno per diventare primi, insieme al Messia, che presto sarà re, seduto sul trono di Davide suo padre, dopo avere sbaragliato gli attuali governanti. Ma chi saranno i primi tra i primi? Cioè: chi occuperà i primi posti nella nuova corte reale? Stando così le cose, è il caso di farsi avanti.

Queste premesse ci permettono di capire il Vangelo di oggi. Giacomo e Giovanni suo fratello, figli di Zebedeo, ex pescatori, vanno a prenotare i due primi posti, il maggiore a destra, l’altro a sinistra del nuovo re. “Concedici di sedere, nella tua gloria, uno alla tua destra e uno alla tua sinistra” (v. 37). Gesù risponde che non avevano capito niente; e li sottopone a un piccolo interrogatorio: “Potete bere il calice che io bevo, o essere battezzati nel battesimo in cui io sono battezzato?”. Loro, equivocando, rispondono di sì. La domanda di Gesù intendeva: sarete in grado di andare incontro ad un martirio simile a quello che io sto per subire? Loro probabilmente l’interpretarono come se avesse chiesto: siete disposti, in questa rivoluzione, ad entrare coraggio- samente in battaglia, anche a prezzo del vostro sangue? Gesù dice che effettivamente berranno al suo calice e saranno battezzati con lo stesso suo battesimo, ma non può accogliere la loro richiesta, che è solo nella disponibilità del Padre.

Non sappiamo che cosa abbiano capito in quel momento; sappiamo però che, alcuni anni dopo che Gesù fu risuscitato dai morti, i due fratelli gli daranno testimonianza con il loro sangue. Gli altri dieci, a sentire questi discorsi, si risentirono e protestarono. Qui la narrazione di Marco raggiunge il centro: la catechesi di Gesù sul rapporto potere/servizio. Il problema, in qualche misura, ci deve essere stato anche nella comunità per la quale egli scriveva. E dove non c’è? “Voi sapete che coloro i quali sono considerati i governanti delle nazioni dominano su di esse e i loro capi le opprimono. Tra voi però non è così; ma chi vuole diventare grande tra voi sarà vostro servitore, e chi vuole essere il primo tra voi sarà schiavo di tutti. Anche il Figlio dell’uomo infatti non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per la moltitudine” (10,42-45).

Mai erano risuonate parole più rivoluzionarie e più vere. Bisogna riconoscere che la tentazione del potere è universale; non solo nell’ambito delle grandi organizzazioni politiche o economiche, ma anche nel piccolo della comunità o della famiglia. È il tentativo di sottrarsi alla universale condizione di dipendenza reciproca. Lo vogliamo o no, siamo tutti dipendenti. Tuttavia qualcosa dentro di noi cerca di annullare questa realtà. Il potere ce ne dà l’illusione. È l’antica tentazione del giardino dell’Eden: “Sarete come dèi” (Gn 3,5). Gesù rivela all’uomo la verità della condizione umana: l’uomo è veramente se stesso quando serve. Allora egli somiglia a Dio, che si è manifestato nel Figlio dell’uomo non come colui che domina e opprime, ma come colui che serve.

AUTORE: Bruno Pennacchini Esegeta, già docente all’Ita di Assisi