Lo “spirito di Assisi” incontra il giubileo della Misericordia

Convegno ad Assisi il 28 ottobre. Ecco qualche anticipazione da uno dei relatori

assisi-001-1986-cmykDi fronte al dramma della pace ferita vengono spesso paventate ricette di tipo sociologico, militare, economico, politico. In realtà il problema della pace va ricondotto alle sue radici spirituali e religiose che riguardano l’idea di Dio e dell’uomo.

Papa Francesco nella Evangelii gaudium traccia due immagini di Chiesa utili a un serio discernimento ecclesiale. Da un lato scorge una Chiesa con la “faccia da funerale”, dall’altra prospetta la gioia. All’immagine di un cristianesimo triste e senza slancio corrisponde la tentazione di possedere l’immagine di Dio. Quando ci affidiamo alle “strutture”, quando pensiamo che le abitudini siano irreversibili, quando ci accontentiamo di pensieri standardizzati e rassicuranti, allora Dio viene catturato nella presunzione – da parte dell’uomo – di conoscerne l’identità. Questo simulato possesso genera l’orgoglio di detenere la verità, e si aprono così le porte alla violenza e al fanatismo.

Al contrario, una Chiesa che va “in uscita” e affronta la sfida della conversione alla gioia rinnova la consapevolezza del mistero inesauribile di Dio. L’immagine biblica di Mosè che contempla le “spalle” di Dio (Es 33,23) e quella evangelica di Pietro, invitato a “ritornare dietro” (Mt 16,23), sono indicative del corretto modo di porsi. La Chiesa è chiamata a riprendere confidenza con un atteggiamento umile e contemplativo.

Di pari passo con il cambiamento dell’idea di Dio, cambia anche l’idea dell’Uomo. Quando prevale la preoccupazione di assicurarsi punti fermi, quando il primato viene dato ai risultati e quando si vuole stare al sicuro, la Chiesa incorre nell’errore di affidarsi a umanesimi di basso profilo.

Una Chiesa che vive invece la priorità di una pastorale missionaria non si alletta con le illusorie immagini antropologiche di turno, ma riscopre il senso dell’altissima vocazione umana. L’uomo è veramente se stesso quando viene divinizzato. Avere lo sguardo fisso su questo “umanesimo non umano” permette di curare la malattia antropologica dell’uomo contemporaneo e smentisce l’errore di un’eccessiva insistenza sul moralismo e su un cristianesimo concepito solo in forma etica.

Il problema della pace si radica su queste basi. Finché l’uomo sarà “detto” a partire da definizioni contingenti, e finché Dio sarà concepito rigidamente a partire da precomprensioni e modelli fissi, la convivenza umana sarà appesantita da varie tare e sfocerà in una inevitabile deriva.

Occorre superare queste strettoie, occorre navigare al largo. Ma come fare? Qui si innesta il pensiero sulla misericordia. Essa, intesa secondo il suo autentico significato biblico, è un’esperienza di negazione di sé e, come decentramento della propria vita, invita a scoprire il valore trascendente dell’altro e di Dio. Solo la misericordia che rovescia le prospettive è capace di curare le ferite della pace mediante l’amore. L’Incarnazione è misericordia poiché costituisce l’evento del Dio che, assumendo la natura umana, diventa solidale con la nostra esperienza. Così intesa, prospetta l’uomo dal punto di vista di Dio e ci fa incontrare Dio nelle piccolezza del frammento. Riscoprendo questo linguaggio di amore servizievole e donativo, riscoprendo il volto della prossimità di un Dio che non può essere catturato in definizioni, rivolgendo lo sguardo all’amore, l’uomo diventa capace di tenere a freno la sua “volontà di potenza” e di vincere la tentazione dell’amore egoistico di sé, aprendosi alla prospettiva inedita di un Amore che trasfigura le cose, le persone, le realtà.

Solo nella misura in cui in atteggiamento contemplativo, alla scuola della Misericordia, il cristiano di oggi si porrà al cospetto del Mistero divino e riscoprirà l’altezza della vocazione divina dell’Uomo, si darà la possibilità di instaurare una pace veritiera.

 

AUTORE: Francesco Testaferri docente di Teologia fondamentale all’Istituto teologico di Assisi