Il 25 Luglio gli italiani non erano “pronti”

Ricorreva in questi giorni – precisamente il 25 luglio – l’ottantesimo anniversario di un evento storico: la fine del Governo fascista in Italia, con le dimissioni (in realtà, forzate) di Benito Mussolini e il suo arresto.

Perché parlare del 25 luglio e della caduta di Mussolini?

Ottant’anni è un periodo lungo, ma non lunghissimo: quel giorno erano già nati Papa Francesco, il presidente Mattarella, il cardinale Bassetti, il mio parroco… e naturalmente, parecchi altri. Anche se loro erano troppo piccoli per ricordarne qualcosa oggi. Ma il mondo è cambiato così profondamente che potrebbero sembrare ottocento anni invece di ottanta. Perché parlarne, dunque? Perché fu un fatto straordinario, che ci può ancora insegnare qualcosa.

L’Italia era in guerra da tre anni

Si sa che, appena la notizia fu data per radio, in tutta Italia si scatenò una festa spontanea, con la gente nelle piazze fino a tarda notte, come per una vittoria ai Mondiali di calcio. E si capisce: l’Italia era in guerra da tre anni, essendoci entrata malvolentieri, e in quei tre anni erano state solo batoste. Batoste politiche e militari, anche gravissime, come la perdita di tutte le colonie africane (quello che chiamavano “l’Impero”), la disfatta dell’armata italiana in Russia, e da ultimo lo sbarco in Sicilia degli angloamericani, i “nemici” contro i quali l’Italia faceva la guerra. E non si trattava solo di bandierine spostate sulle carte geografiche.

Ci furono decine di migliaia di soldati morti

Ognuna di quelle sconfitte era costata decine di migliaia di soldati morti, mutilati, prigionieri; poi c’erano le migliaia di vittime civili dei bombardamenti aerei delle città, Roma compresa. In ogni angolo d’Italia, anche nelle case cui non era toccata nessuna di quelle sventure, c’era l’impoverimento generale, la scarsità dei generi alimentari, la vita quotidiana resa dura e difficile dalla guerra. Tutti sapevano che la colpa era di Mussolini.

A prendere l’iniziativa solo alcuni dirigenti del fascismo in accordo con il re

Ma – ecco il punto – nessuno prese l’iniziativa di ribellarsi; solo un pugno dei dirigenti più alti del fascismo, in segreto accordo con il re, per liquidare il regime trovarono un mezzo apparentemente incruento (di sangue versato, dopo, ce ne fu fin troppo; ma sul momento, no). Il 25 luglio, insomma, fu la controprova che il popolo italiano non era ancora maturo per difendere la sua libertà e la democrazia. Lo avrebbe fatto dopo, con la Resistenza e la guerra di liberazione. Ma non il 25 luglio 1943. Questo ci spinge a chiederci quanto siano davvero profonde le radici della democrazia nel nostro Paese.

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