“Abramo vide il mio giorno”

Commento alla liturgia della Domenica a cura di Bruno Pennacchini II Domenica di Quaresima - anno B

La liturgia di questa seconda domenica di Quaresima è indiscutibilmente drammatica: Dio comanda ad Abramo di uccidere suo figlio Isacco, offrendoglielo in sacrificio; Gesù conduce tre discepoli in disparte, su un alto monte, e per un momento si svela ai loro occhi nella sua divinità, e loro si spaventano; in mezzo, seconda lettura, c’è una pausa pacificante: Paolo apostolo annuncia ai cristiani di Roma che l’amore di Dio per l’uomo in nessun caso potrà essere annullato. Che cosa unifica queste tre Scritture tanto diverse? La Pasqua. Già domenica scorsa, con l’inizio della Quaresima, ci siamo incamminati verso di essa; ma le risonanze erano ancora sommesse. Oggi sono esplicite. Una parola lega anche il racconto di Abramo a quello della Trasfigurazione di Gesù: “il mio figlio unico, amato”. “Questi è il Figlio mio, l’amato, ascoltatelo” (Mc 9,7). Ad Abramo l’Eterno aveva detto: “Prendi tuo figlio, l’unico, quello che ami…” (Gn 22,2). Dio risparmierà Isacco, il figlio di Abramo, ma non risparmierà suo Figlio, dandolo a morte in favore di tutti noi. A noi oggi fa grande impressione sentire che Dio comanda di andare a sgozzare un figlio unico (Gn 22,1). All’epoca di Abramo però, oltre un millennio e mezzo prima di Cristo, in un contesto culturale in cui i sacrifici dei primogeniti agli dèi erano consueti, per quanto doloroso, non gli dovette sembrare assurdo: il suo Dio gli chiedeva quello che anche altre divinità chiedevano ai rispettivi devoti.

Una cosa gli apparve incomprensibile: come era possibile che Dio, del quale si era fidato, e che gli aveva promesso una discendenza sterminata, ora gli portasse via l’unico figlio, al quale erano legate tutte le promesse ricevute? Era forse stato ingannato da qualche demonio? O si era illuso, fidandosi di una divinità che in realtà era inaffidabile quanto le altre? Tuttavia obbedì, scommettendo tutto per tutto. “Egli pensava infatti che Dio è capace anche di far risorgere dai morti: per questo lo riebbe e fu come un simbolo” (Eb 11,19). Simbolo e profezia della risurrezione del Cristo. Quel giorno Abramo vide la Risurrezione ed ottenne definitivamente la fede. A questo farà riferimento Gesù, quando, discutendo con i giudei, affermò: “Abramo, vostro padre, esultò nella speranza di vedere il mio giorno; lo vide e fu pieno di gioia” (Gv 8,56).

Il prefazio della celebrazione eucaristica di oggi è la chiave di lettura del Vangelo. Dice così: “Dopo aver dato ai discepoli l’annunzio della sua morte, sul santo monte manifestò la sua gloria e, chiamando a testimoni la Legge e i Profeti, indicò agli apostoli che solo attraverso la passione possiamo giungere al trionfo della risurrezione”. Racconta Marco che, sei giorni prima dei fatti in parola, c’era stato un colloquio impegnativo tra Gesù e i discepoli, mentre erano diretti verso l’estremo nord della Palestina. “Ed egli domandava loro: Voi, chi dite che io sia?”. Pietro gli rispose: tu sei il Cristo” (8,27-29)

. Purtroppo né Pietro né gli altri avevano capito la portata di quanto avevano detto. Essi condividevano l’immagine del Messia venturo, corrente tra gli ebrei: sarebbe stato un eroe imbattibile, un trionfatore politico e militare, avrebbe scacciato lo straniero invasore e restaurato l’antico regno di Davide. Gesù ritenne giunto il momento di disingannarli, annunciando che non era come loro pensavano, anzi: “Il Figlio dell’uomo doveva soffrire molto ed essere rifiutato dagli anziani, dai capi dei sacerdoti e dagli scribi, venire ucciso e, dopo tre giorni, risorgere” (8,31).

A sentire così, Pietro rimase talmente sconvolto, che “lo prese in disparte e si mise a rimproverarlo” (8,32). Gesù a sua volta lo trattò molto severamente: “Va’ dietro a me, Satana! Perché tu non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini” (8,32). E perché non rimanessero dubbi sul suo pensiero, “convocata la folla insieme ai suoi discepoli, disse loro: Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua. Perché chi vuole salvare la propria vita, la perderà; ma chi perderà la propria vita per causa mia e del Vangelo, la salverà” (8,34-35). Ciò che accadde dopo sei giorni, lo abbiamo ascoltato dal Vangelo.

Gesù “fu trasformato” ai loro occhi. Dio li rese capaci, per un momento, di vedere “oltre”: la sua dimensione divina e anche coloro che anticamente avevano parlato di lui, Mosè ed Elia. Il tutto risultò tanto sconvolgente che Pietro reagì in maniera davvero banale: propose di rimanere tutti sul posto e si offrì di tirare su tre capanne, una per ognuno dei personaggi della visione. A questo punto ci fu il culmine della rivelazione: da dentro la nube luminosa che avvolse tutti, risuonò la voce del Padre: “Questo è il Figlio mio, l’amato, ascoltatelo” (9,7). Poi tutto scomparve. Mentre scendevano dal monte, Gesù comandò loro di non raccontare niente a nessuno, fino a quando “il Figlio dell’uomo non fosse risuscitato dai morti”. Obbedirono. Quello che però non riuscivano a capire era quel fatto della “resurrezione dei morti”. Come accade oggi anche a noi.

AUTORE: Bruno Pennacchini Esegeta, già docente all'Ita di Assisi