Cena del Signore celebrata nella Cattedrale di S.Lorenzo dall’arcivescovo Maffeis

“Nei giorni scorsi ho letto la recensione di un libro, che fotografa una situazione che, per molti versi, ci tocca da vicino fin dal titolo: Scontenti.

La scontentezza, leggo, è un malessere personale e sociale, un male interiore, che porta all’animosità; uno stato d’incompiutezza che non trova sbocco religioso e che sfocia in malcontento e ribellione. Ancora: “Ci inoltriamo in un vuoto di punti fermi, di legami di provenienza e di orizzonti di aspettativa…”.

Con queste parole l’arcivescovo Ivan Maffeis ha introdotto l’omelia della celebrazione della Cena del Signore del Giovedì Santo, 6 aprile, nella Cattedrale di San Lorenzo di Perugia, compiendo il rito della lavanda dei piedi ad gruppo di persone dei territori colpiti dal terremoto dello scorso 9 marzo, quattro settimane fa, come segno di attenzione della Chiesa particolare nei loro confronti. Gesto che il presule ha compiuto, in mattinata, in Carcere, ad alcune decine di detenute e detenuti.

Proseguendo l’omelia (il testo completo e la fotogallery sono scaricabili al link: https://diocesi.perugia.it/wd-document/giovedi-santo-messa-nella-cena-del-signore-6-aprile-2023/ ), monsignor Maffeis ha commentato:

“Quanto è distante questa condizione esasperata (disperata?) dalla serena consapevolezza che Gesù ha di sé: Sapendo che era venuto da Dio e a Dio ritornava…. Queste parole sono scritte per noi: siamo venuti da Dio, a Dio apparteniamo e a Dio ritorniamo… È questa è la sintesi, piena di speranza, che la fede cristiana offre della parabola della vita…”.

“Il racconto della lavanda dei piedi -ha evidenziato l’arcivescovo- ci rivela fino in fondo l’identità di Gesù. Quando si era invitati a partecipare a un banchetto, sulla porta un servo lavava i piedi per consentire di entrare e di sedersi a tavola con gli altri.  Così, nel suo amore il Signore si abbassa e si fa servo: ci lava dalle nostre sporcizie e ci rende la possibilità di accedere al Padre e di riconoscerci fratelli, comunità, sua Chiesa.

La vera umiltà -ha ricordato monsignor Maffeis- è quella di chi si lascia raggiungere e salvare dall’amore del Signore, pane per noi spezzato, vino per noi versato. In Lui (in Cristo Gesù, nel mistero della sua passione, morte e risurrezione che si rinnova in ogni Eucaristia) veniamo liberati da una vita ripiegata su noi stessi, che è sterile e rende scontenti; veniamo restituiti alla verità più profonda di ciò che siamo: persone per le quali il Signore ha dato la sua vita. È quanto abbiamo vissuto anche questa mattina, celebrando la liturgia della Parola, nel carcere di Capanne, compiendo il gesto della lavanda dei piedi ad alcune decine di detenute e detenuti in un clima di profondo raccoglimento e di profonda commozione che ti fa sentire che per essere perdonato, a volte, devi davvero toccare il fondo della tua povertà e della tua miseria. Si toccava con mano un bisogno, un desiderio, una disponibilità a far spazio all’amore del Signore e a rialzarsi.

Questa sera preghiamo per le tante famiglie che sono provate dal terremoto perché fuori casa, e abbiamo invitato alcuni di loro, simbolicamente, per non dimenticarci di questi fratelli e di queste sorelle che celebrano una Pasqua nella difficoltà e nel disagio.

Sappiamo -ha concluso l’arcivescovo- cosa sia la mancanza della casa. Preghiamo per loro e per ciascuno di noi, perché sappiamo lasciarci raggiungere dalla Pasqua del Signore: sarà per ciascuno l’inizio dei mesi, il primo mese dell’anno, come richiamava la pagina dell’Esodo; sarà il Capodanno da cui discende l’anno di grazia del Signore…”

Celebrazione della Cena del Signore nella Casa Circondariale di Terni

A Terni, la celebrazione della Messa in Coena Domini, del giovedì santo, è stata presieduta dal vescovo Francesco Antonio Soddu all’interno della Casa Circondariale, prima volta che questo importante momento del triduo pasquale viene celebrato dal vescovo nel carcere cittadino. La Messa è stata concelebrata dal cappellano del carcere padre Massimo Lelli, dal diacono Ideale Piantoni e alla presenza del magistrato di sorveglianza Fabio Gianfilippi, del comandante della Polizia Penitenziaria Fabio Gallo, del presidente dell’associazione di volontariato San Martino Francesco Venturini, della responsabile del settore carcere della Caritas Nadia Agostini, di altri volontari e operatori all’interno del carcere.

Nel corso della celebrazione della Cena del Signore, molto partecipata e vissuta con particolare intensità e raccoglimento dai detenuti, il vescovo ha ripetuto il gesto della lavanda dei piedi a undici detenuti e ad un volontario.

“Gesù con la sua morte e resurrezione -ha detto il vescovo ai detenuti- ci libera dalla schiavitù del peccato. Ci libera dal carcere più duro, che è quello che è nel nostro cuore. La libertà dei figli di Dio supera le barriere di ogni carcere, perchè il carcere più duro è quello di fronte a se stessi, non vi è situazione più dura di quella di non vedere una prospettiva. Quando siamo assediati dal peccato cosa ci potrà liberare? Solo il Signore, vincitore della morte. In questa celebrazione ricordiamo l’istituzione dell’Eucaristia nell’ultima cena.

Il significato di quel gesto, che dice la presenza reale di Gesù nel pane e nel vino, rivela anche qualcosa di molto pratico che ciascuno è chiamato a fare; e se l’eucaristia sacramentalmente è propria del sacerdote, il suo significato reale lo possiamo fare tutti quanti, nel donarci agli altri. Nello stesso lavare i piedi da parte di Gesù agli apostoli è espresso il senso profondo del servizio, sino alle estreme conseguenze, cioè dare la vita per gli altri. Il tradimento di Gesù è il nostro tradimento, di ciascuno di noi, davanti al quale dobbiamo fare i conti, o cadere nella disperazione come Giuda, oppure in un pentimento profondo come è stato per Pietro. Però il pianto amaro non deve cadere nello sconforto definitivo, ma aprirsi alla speranza, perchè quello che è morto dentro di noi, con l’aiuto di Gesù, può rinascere a vita nuova”.

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