Come pietre vive sulla roccia di Pietro

Commento alla liturgia della Domenica a cura di Oscar Battaglia Santi Pietro e Paolo - anno A

La promessa che Gesù ha fatto a Pietro non interessa lui solo, ma coinvolge tutti noi credenti e seguaci di Cristo. Pietro sta alla base della fede della Chiesa. Le parole di Gesù sono chiare: “Tu sei Roccia (Pietro) e su questa roccia io edificherò la mia Chiesa”. Noi siamo la Chiesa edificata sulla roccia che è Pietro, rappresentante storico e visibile di Gesù in terra. Gesù resta la roccia invisibile, ma su di lui, come fondamento visibile, ha voluto Pietro. Il profeta Isaia aveva esortato così gli ebrei che si vantavano della loro discendenza da Abramo, padre della loro fede: “Ascoltatemi, voi che cercate il Signore: guardate alla roccia da cui siete stati tagliati, alla cava da cui siete stati estratti” (Is 51,1).

Come pietre vive noi siamo stati tagliati dalla roccia eterna che è Cristo, fatti del suo stesso materiale umano e divino, figli di Dio come lui. Lo ricorda lo stesso Pietro ai suoi cristiani nella sua prima lettera enciclica. Vuole che non prendano abbagli e non assolutizzino il suo ruolo di Pietra di fondamento. Egli rappresenta Gesù, governa in nome suo; il fondamento unico e ultimo della salvezza è Lui: “Stringendovi a lui, pietra viva, rigettata dagli uomini ma scelta e preziosa davanti a Dio, voi venite impiegati come pietre vive per la costruzione di un edificio spirituale, per un sacerdozio santo, per offrire sacrifici spirituali graditi a Dio, per mezzo di Gesù Cristo” (1 Pt 2,4s).

La Chiesa è paragonata ad un edificio sacro fatto di pietre umane, un edificio dove i fedeli svolgono il loro sacerdozio e offrono i loro sacrifici spirituali. Pietro è colui che tiene unito questo edificio spirituale e ne dirige la disciplina e il culto. Quel giorno, a Cesarea di Filippo, all’estremo nord della Palestina, il Signore pensava a noi mentre stabiliva il suo fragile discepolo come roccia indefettibile sulla quale ci avrebbe edificati come Chiesa, cioè comunità di credenti in lui. Da allora senza Pietro non c’è Chiesa di Cristo. Questo ci ricorda il Vangelo di oggi. Dovremmo forse verificare meglio su di esso le nostre convinzioni religiose, in un mondo che contesta ogni autorità. La Chiesa non ce l’inventiamo noi, è quella che ha voluto Cristo. Il racconto di Matteo si divide nettamente in due parti: la prima descrive l’interrogatorio dei discepoli e la confessione di Simon Pietro; la seconda riferisce la promessa fatta a Pietro come risposta alla sua professione di fede.

Su questa seconda parte è incentrata tutta l’attenzione dell’evangelista, che l’ha strutturata in modo accurato in forma ritmica, con tre strofe di tre righe ciascuna. Tutto inizia con due domande in progressione, che restano sempre attuali: “‘Che dice la gente di me?” e “Voi che ne dite?”. Alla prima domanda i discepoli riferiscono le opinioni più varie. La gente non ha idee chiare, ognuno esprime la propria convinzione personale. Comunque le risposte non vanno oltre l’orizzonte umano; al massimo si arriva a definire Gesù un profeta come quelli più conosciuti dalla tradizione popolare. Venti secoli di cristianesimo non hanno cambiato molto questo panorama confuso di idee. Ma la domanda di Gesù a questo punto si fa più personale e più stringente: “Voi chi dite che io sia?”. Pietro risponde a nome di tutti con una professione di fede che supera i limiti delle opinioni personali e diventa la confessione immutabile della Chiesa nei secoli: “Tu sei il Cristo, il Figlio del Dio vivente”.

Non si poteva dire di più e di meglio. Solo Dio poteva rivelare a Pietro una verità così grande. Lo constata meravigliato lo stesso Gesù, che vede in quelle parole il segno dell’elezione divina. La promessa di Gesù è come un canto strutturato in tre strofe ritmiche a forma di beatitudine. La prima strofa enuncia una beatitudine personale ridondante: “Beato te, Simone figlio di Giona, perché né la cerne né il sangue te l’hanno rivelato, ma il Padre mio che è nei cieli”. È la beatitudine della fede, come quella di Maria (Lc 1,45) e attinge alla radice l’umanità del discepolo, chiamato col suo nome originario di Simone e con il suo patronimico di “figlio di Giona” (abbreviazione di Giovanni). Gesù lo aveva riconosciuto così quando glielo condusse suo fratello Andrea: “Tu sei Simone, il figlio di Giovanni” (Gv 1,42). Il Dio che ci ha creato ci chiama per nome e conosce la nostra storia fin dal concepimento (Sl 139,13-16).

Quella confessione, fatta ai piedi della grande roccia che dominava l’antica Cesarea di Filippo, era per Gesù il segno dell’elezione divina. Da questa consapevolezza sgorga la promessa solenne che trasferisce i verbi dal passato al futuro: “Io ti dico: tu sei Pietro e su questa pietra io edificherò la mia Chiesa”. C’è un delicato parallelismo tra il dire di Pietro e il dire di Gesù: ambedue formulano verità inaudite che impegnano la fede della Chiesa. Dicono chi è Gesù e chi è Pietro. Quando, nel primo incontro, Gesù aveva guardato Simone negli occhi, gli aveva detto: “Tu sei Simone figlio di Giovanni; ti chiamerai Cefa (che vuol dire Pietro)” (Gv 1,42). Ora quel nuovo nome viene spiegato: Pietro da Pietra (Kepha, in aramaico), cioè “Roccia” di fondamento della Chiesa di Dio insieme a Cristo, roccia della nostra salvezza.

“La Chiesa” (Ekklesìa) vuol dire, secondo l’uso dell’Antico Testamento greco, comunità di credenti che professano la stessa fede e rendono a Dio lo stesso culto. I traduttori greci della Bibbia rendono con questo lemma, per più di cento volte, il vocabolo ebraico Qâhâl, che indicava la comunità dei salvati raccolta per ascoltare la parola del Signore e rendere a lui il culto dell’obbedienza e della liturgia. Gesù intende fondare una nuova comunità di salvati, riscattati con il suo sangue e resi figli di Dio con la sua risurrezione. Una specie di tempio spirituale dove i credenti esercitano il loro sacerdozio comune nel culto liturgico e nella testimonianza di una vita santa.

Questa Chiesa, che ha la fede di Pietro come fondamento inamovibile, è destinata a vivere nel tempo fino alla seconda venuta di Gesù: “Le porte degli inferi non prevarranno contro di essa”. “Le porte” sono un’espressione tipica orientale per indicare “il potere”, perché chi teneva le porte aveva in mano la città. Qui Pietro è visto anche come masso di chiusura delle porte della morte. Finché c’è lui, la Chiesa non finirà. Egli tiene a bada le forze distruttive e disgreganti della Chiesa. Il concetto è ribadito e ampliato con l’immagine delle “chiavi del regno dei cieli”. Sono le chiavi della casa o della città, che simbolicamente indicano la piena autorità (Mt 23,13). Aprire o chiudere è l’equivalente di sciogliere e legare. Le immagini indicano che Pietro possiede un’autorità vicaria alle dipendenze di Gesù, con la funzione di interpretare autenticamente la sua parola, con un servizio di unità e di carità, con un’azione di governo teso alla difesa e alla diffusione della verità evangelica. Il Papa di Roma rende oggi questo servizio a Gesù e alla Chiesa.

AUTORE: Oscar Battaglia