Difensori della dignità umana

Benedetto XVI ha firmato il decreto sulle virtù eroiche di Giovanni Paolo II, e anche di Pio XII. I perché di una scelta difficileChi non ricorda quelle scritte in piazza San Pietro, “subito santo”, che in diversi punti sopra le teste dell’immensa folla che seguiva i funerali di Papa Wojtyla, più che una richiesta evidenziavano una certezza nel cuore di tutti. Sul sagrato della basilica vaticana il vento sconvolgeva le vesti dei celebranti, sfogliava le pagine del Vangelo poste sulla semplice bara. “Santo subito” gridava la folla mentre il cardinale celebrante, oggi Papa Ratzinger, nella sua omelia ripeteva quel “seguimi” di Cristo ai suoi fedeli. Con la firma del decreto sulle virtù eroiche si apre ora la strada a Papa Wojtyla verso la beatificazione, a nemmeno cinque anni dalla morte avvenuta il 2 aprile 2005. È presto per parlare di date possibili per la celebrazione del rito: certo alla Chiesa polacca – che, ricordiamo, insieme a Giovanni Paolo II avrà un altro suo figlio da chiamare beato, Jerzy Popieluzsko, il cappellano di Solidarnosc famoso per le sue omelie contro il regime e ucciso a motivo delle sue denunce – piacerebbe molto la data della domenica della Divina Misericordia, cioè la prima domenica dopo Pasqua – Papa Wojtyla si è spento ai primi vespri di quella festa – ma forse è una data troppo vicina. Altra data potrebbe essere a ridosso della sua elezione, il 16 ottobre, o dell’inizio di pontificato. Con Papa Wojtyla e il sacerdote di Solidarnosc, altre 19 persone hanno visto riconosciute le loro virtù eroiche. C’è la prima beata australiana, Maria della Croce MacKillop, e poi, tra gli altri, la diciottenne Chiara Badano, suor Enrica Alfieri, Giacomo Illirico da Bitetto, Luigi Brisson, il salesiano Giuseppe Quadrio. Ma su tutti si evidenzia un altro nome: Pio XII. Due anni fa, nel maggio del 2007, il suo decreto era stato approvato dalla Congregazione per le cause dei santi e a dicembre, un po’ per le polemiche che aveva suscitato la notizia, un po’ per altre questioni più interne, il Papa aveva deciso di rinviare la sua pubblicazione e di disporre un supplemento di indagini, affidando il lavoro a un padre domenicano. La pubblicazione del decreto di Papa Pacelli arriva, dopo i viaggi di Benedetto XVI negli Stati Uniti, con la visita alla sinagoga, e in Israele, e dopo l’annuncio della prossima visita al Tempio maggiore di Roma. Pubblicazione possibile, dunque, nella quale si può cogliere un sottile filo rosso che lega i due Pontefici: se, da un lato, si vuole cogliere quel “vento” popolare che vuole Wojtyla “subito santo”, il Papa che per primo è entrato in una sinagoga, che ha chiamato “fratelli maggiori” i figli di Israele, dall’altro, si vuole in qualche modo contestare quella “leggenda nera”, come l’ha recentemente definita il card. Tarcisio Bertone, che accompagna la figura di Pacelli, che ha lasciato una lunga serie di messaggi negli anni del conflitto mondiale di condanna della guerra, delle cause del conflitto di classe, richiamando gli Stati al rispetto della persona umana e dei suoi diritti. Si poteva fare di più, si dice. Troppi i silenzi sulla Shoah, afferma il mondo ebraico; non disse una parola, Pacelli, sul treno dei deportati che partì da Roma il 16 ottobre 1943. La beatificazione, affermano ancora, è un fatto interno alla Chiesa cattolica, ma non deve significare un giudizio definitivo e unilaterale sull’operato storico di Pio XII. Torna allora la domanda: si poteva fare di più? Certo non mancano gli attestati e la riconoscenza del mondo ebraico per quanto la Chiesa cattolica ha fatto in quegli anni per salvare migliaia di vite di ebrei perseguitati. E proprio nel Museo storico della Liberazione di via Tasso venne messa una lapide in una sala. Si legge: “Il Congresso dei delegati delle comunità israelitiche italiane, tenutosi a Roma per la prima volta dopo la Liberazione, sente imperioso il dovere di rivolgere reverente omaggio alla Santità Vostra, ed esprime il più profondo senso di gratitudine che anima gli ebrei tutti, per le prove di umana fratellanza loro fornite dalla Chiesa durante gli anni delle persecuzioni e quando la loro vita fu posta in pericolo dalla barbarie nazifascista. Molte volte sacerdoti patirono il carcere e i campi di concentramento, immolarono la loro vita per assistere in ogni modo gli ebrei…”.Come non ricordare ancora che alla sua morte, nel 1958, il Papa veniva ricordato con giudizi positivi pressoché unanimi? Poi, a partire dal 1963, la sua immagine ha subito un vero e proprio rovesciamento – come suo successore in Vaticano vi era il Papa di “transizione” come è stato chiamato, Giovanni XXIII, il “Papa buono” nella definizione popolare – dovuto soprattutto alla rappresentazione, in piena guerra fredda, del dramma Der Stellvertreter (“Il Vicario”) di Rolf Hochhuth, rappresentato per la prima volta a Berlino il 20 febbraio 1963 e tutto giocato sul silenzio di un Papa dipinto come indifferente davanti alla persecuzione e allo sterminio degli ebrei. Il testo in qualche modo raccoglieva quella linea di anticomunismo che Papa Pacelli aveva scelto di seguire negli anni del suo pontificato. A questo punto, per un giudizio corretto e attento bisognerà davvero attendere l’apertura degli archivi vaticani e gli studi che gli storici faranno sicuramente per cogliere il lavoro svolto dal Papa in quegli anni difficili della follia della guerra. La scelta di Benedetto XVI di aprire la strada alla beatificazione di Eugenio Pacelli non ci sembra quella di mettere la parola fine alle ricerche che gli storici potranno fare; piuttosto, la convinzione che il suo Predecessore, negli anni difficili del conflitto mondiale e in tutti quelli del suo pontificato, ha svolto un ruolo di primo piano nella difesa della vita umana e nel chiedere il rispetto della dignità dell’uomo.

AUTORE: Fabio Zavattaro