“Dio, patria, famiglia” in due sensi

Chi vuol fare un bell’elogio del proprio cane o gatto, dice che “gli manca solo la parola”. In effetti il dono della parola è quello che meglio distingue l’uomo, perché gli permette non solo di comunicare con i propri simili, ma anche di elaborare i concetti, di ricordare il passato e pensare al futuro. Ma è uno strumento delicato e rischioso, perché è possibile che ogni parola abbia un senso nella mente di chi la dice e uno diverso nella mente di chi la ascolta.

Così può accadere che due credano di essere d’accordo mentre in realtà pensano cose diverse, oppure litighino sulle parole mentre in realtà pensano la stessa cosa. Quindi bisogna diffidare delle etichette che possono sembrare attraenti e magari nascondono un inganno. Può essere questo il caso del motto “Dio, patria e famiglia”, attribuito a Giuseppe Mazzini e ora rinverdito. Si può intendere in almeno due modi contrapposti.

Uno inclusivo, altruistico: più del mio interesse personale vale quello della mia famiglia; più dell’interesse della mia famiglia, vale il bene della comunità (la patria) e di tutti quelli che ne fanno parte, compresa, si capisce, la mia famiglia; più dell’interesse della patria, vale il bene supremo, universale, quello che i credenti identificano con la figura di Dio, padre e creatore di tutti, e che i non credenti in qualche modo pure riconoscono nei valori più alti dell’umanità intera.

Uno, invece, esclusivo ed egoistico: la “mia” famiglia vale, la tua no; la “mia” patria vale, la tua no; il “mio” Dio vale, il tuo no.  Che, poi, parlare di un Dio “mio” o “nostro”, a fronte di quello o quelli di altri, è una bestemmia. Dio è per definizione uno ed unico, non ci sono più Dèi in competizione fra loro.

Diverse fra loro possono essere le idee che varie persone e vari popoli si sono fatti dell’unico Dio, diversi possono essere i nomi con cui lo chiamano e i modi che hanno per pregarlo, ma Lui è sempre lo stesso. Come si vede, anche uno slogan semplice come “Dio, patria e famiglia” può corrispondere a visioni del mondo e a programmi di vita antitetici. Come ne usciamo, allora? Facendo meno attenzione alle parole (specie se proclamate con enfasi) e più attenzione ai fatti. Come nella parabola del Vangelo di domenica scorsa, quella del figlio che promette obbedienza ma non la dà, e del figlio che prima nega ma poi s’impegna. Impariamo a riconoscerli.

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