La “dipendenza” rende schiavi. Ma si può vincere

Papa Francesco nel suo Messaggio per la Quaresima 2024 ha parlato di libertà e di fratelli e sorelle ancora oppressi dalla schiavitù. Potremmo indicare, nel contesto contemporaneo, come schiavitù anche la dipendenza. Un numero elevato di giovani ed anche di adulti, infatti, vivono una dipendenza che non si riferisce al solo abuso di alcol, di droghe o di altre sostanze, ma anche da abitudini replicate nel tempo.

I numeri delle dipendenze dei giovani

L’Istituto superiore di sanità, lo scorso anno, faceva sapere che “oltre un milione e 150mila adolescenti in Italia sono a rischio di dipendenza da cibo, quasi 500mila potrebbero avere una dipendenza da videogiochi mentre quasi 100mila presentano caratteristiche compatibili con la presenza di una dipendenza da social media, ed è diffuso anche il fenomeno dell’isolamento sociale (conosciuto come Hikikomori nella sua manifestazione clinica estrema), che riguarda l’1,8% degli studenti medi e l’1,6% di quelli delle superiori”.

Ne parliamo con Riccardo Angeletti, medico-psicoterapeuta esperto in prevenzione e cura delle vecchie e delle nuove dipendenze.

Dott. Angeletti, cosa si intende per “dipendenza”?

“La dipendenza tecnicamente è una malattia cronica recidivante: nasce nel tempo con la messa in atto di una particolare abitudine radicata, come l’uso di sostanza o l’attuare certi comportamenti. Dico recidivante perché un soggetto, ormai libero dalla dipendenza, potrebbe purtroppo ricaderci. La caratteristica principale, che permette di riconoscere una dipendenza, è la chiara modificazione e alterazione dei comportamenti e delle abitudini, perché l’unica cosa che mi dà piacere è quella sostanza o quel comportamento. Qualche esempio per intenderci: una persona dedita al lavoro, precisa, oculata, che non spende mai di soldi, ad un certo punto comincia a non essere più produttivo, a tralasciare le cose, a comprare compulsivamente; o uno studente sempre bravo a scuola che cala drasticamente nel rendimento e che non vuole più andarci. Questi sono cambiamenti comportamentali che possono, seppure non sia un assoluto, far sospettare una dipendenza. Nella persona colpita, invece, un campanello di allarme può essere la comparsa del senso di colpa: l’uso di sostanze o la messa in atto di comportamenti particolari possono suscitare un senso di sconfitta perché, pur trovando piacere in ciò che assume o in quello che fa, non vogliono perdere il controllo”.

Si sente spesso parlare di “new addictions” (nuove dipendenze): cosa sono e quali sono?

“Le nuove dipendenze non hanno a che fare con l’uso di alcol o droghe, come nel caso di quelle che vengono chiamate vecchie dipendenze, ma con comportamenti o attività lecite, socialmente accettate, come lavorare, fare acquisti, navigare su internet, fare sesso, ecc… Sono, quindi, dipendenze da comportamenti che diventano nel tempo compulsivi, come ad esempio: lo shopping, la visione di materiale pornografico, il gioco d’azzardo, l’uso di videogames, la navigazione nel web, l’assunzione di cibo, ma anche lo sport, il lavoro, le relazioni affettive…”.

… addirittura esiste la dipendenza da selfie…

“Sì, l’Associazione psichiatrica americana, ha ufficialmente riconosciuto la dipendenza da selfie, come una vera e propria mania e disturbo mentale. Nel selfie in sé non c’è nulla di male, ma quando questo diventa una routine quotidiana e quando di fronte all’impossibilità di postare le foto si manifestano sintomi di astinenza, siamo di fronte alla dipendenza”.

Le nuove dipendenze hanno elementi comuni?

“Come dicevamo, queste si riferiscono a comportamenti o abitudini socialmente accettati, quindi diventano dipendenze quando ci sono degli elementi – che sono comuni anche se ogni dipendenza ha delle caratteristiche specifiche – come l’impossibilità a resistere all’impulso di mettere in atto il comportamento e la sensazione crescente di tensione che precede l’inizio del comportamento, come pure il piacere o il sollievo durante la messa in atto del comportamento e la percezione di perdita di controllo, ed anche la persistenza del comportamento nonostante la sua associazione con conseguenze negative”.

Come è possibile intervenire? Cosa si può fare?

“Per prima cosa la prevenzione: bisogna conoscere cosa sia una dipendenza, da sostanze o da comportamenti, per riconoscerla e dunque prevenirla, soprattutto quando si passa dall’uso all’abuso. Anche il dialogare è importante per la prevenzione, soprattutto il dialogo tra giovani e adulti, dove quest’ultimi non possono dimenticare la loro funzione educativa, lasciando il ragazzo ad autoregolarsi. Poi c’è il trattamento vero e proprio della dipendenza, dove la terapia cognitivo-comportamentale riscuote più successo. Serve dunque l’affidamento ad un professionista o a dei centri specializzati. Una cosa deve essere chiara: dalla dipendenza non ci si libera da soli!”.

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