“Diteci: dov’è il vostro Dio?”

Commento alla liturgia della Domenica a cura di Bruno Pennacchini XXXIII Domenica del tempo ordinario - anno A

La parabola dei “talenti affidati” ha a che fare con il Regno dei cieli ed è collegata con quella ascoltata domenica scorsa, come invito alla vigilanza: “Avverrà come…” (Mt 25,14). La parabola è divisa in tre quadri, ciascuno dei quali contiene un momento della catechesi sulla venuta di Gesù. Anzitutto c’è un ricco padrone che si assenta per un lungo periodo. Gli ascoltatori di Gesù devono aver immaginato una sorta di commerciante all’ingrosso, che va all’estero per affari.

Prima di partire affida il suo patrimonio, o una parte di esso, a tre servitori, che riteneva evidentemente capaci di gestire efficacemente il denaro affidato. Lo fece però in misura diversa, “a ciascuno secondo le sue capacità” (v. 15). Le somme affidate sono notevoli ma realistiche: cinque talenti (pari probabilmente a 30 mila denari; un denaro era la paga di una giornata di lavoro), due talenti (forse pari a 12 mila denari), un talento (pari alla metà del precedente). Il secondo quadro è il tempo dell’assenza del padrone, quando i servitori affidatari hanno il compito di ben gestire il denaro. Le banche dell’antico Israele funzionavano in maniera non molto diversa dalle nostre: cambiavano valute, custodivano denaro, facevano maturare gli interessi. Poi banchieri e depositari si spartivano i guadagni.

I giudei del resto avevano sedi bancarie in quasi tutte le principali città dell’impero romano. Gli interessi maturavano da soli, ma per realizzare somme importanti (come avverrà per i primi due servitori), era necessario controllare costantemente i flussi di denaro e adottare anche altre iniziative opportune. Il terzo quadro è il ritorno del padrone, che chiama ciascuno a rendicontare del proprio lavoro. I primi due chiamati hanno ottenuto risultati splenditi: hanno addirittura raddoppiato il capitale. Per ricompensa ricevono una lode per l’intelligenza e la fedeltà con cui hanno operato e l’invito a occupare una posizione importante nell’azienda. Con il terzo chiamato, la musica cambia: egli parte subito in difesa, accusando il suo padrone di avarizia e sfruttamento. Gli riconsegna il talento avuto in deposito, pensando di aver fatto abbastanza, riconsegnandolo intatto. Il padrone lo redarguisce aspramente, usando gli stessi argomenti adoperati dal servitore (v. 26).

Per punizione il padrone ordina che gli sia tolto il talento affidatogli e che sia escluso da ogni partecipazione all’ azienda. Il suo talento sia dato in premio al servitore più capace. La motivazione è appoggiata a un detto proverbiale “a chi ha sarà dato… a chi non ha sarà tolto anche quello che ha” (v. 29). L’antico proverbio del resto rispecchia un’esperienza comune anche oggi nell’ambito capitalistico-finanziario. La parabola non lo approva: lo constata. La comunità cristiana primitiva, che ascoltava questa parabola, non aveva difficoltà a interpretarla. Nel padrone che parte per rimanere lontano a lungo riconosceva Gesù, che le affida compiti importanti, nell’attesa del suo ritorno.

Questo periodo intermedio deve essere utilizzato nel modo migliore. Essa è chiamata espressamente a prendere coscienza della responsabilità affidatale nel mondo. Non se ne può stare con le mani in mano, accontentandosi del minimo. Ogni battezzato, credente in Gesù, deve assumersi la responsabilità e i rischi di questo tempo intermedio. L’incarico è anche dono. Il bene affidato è dono. Al ritorno del Padrone, ci sarà la ricompensa escatologica: i servitori buoni entreranno nel banchetto messianico, nella gioia, nella felicità; il servitore “malvagio e infingardo” ne sarà escluso definitivamente. Le prime comunità cristiane sperimentarono rapidamente le tentazioni del “tempo intermedio”: Gesù non aveva forse promesso di tornare rapidamente? Come mai i tempi si allungano? Forse è assente, ci ha abbandonati? Non saremo vittime di una gigantesca illusione? Queste domande sono anche le nostre, di oggi, come lo furono dell’Israele antico: “Il Signore è in mezzo a noi, sì o no?” (Es 17,7).

Il Salmo 42 riferisce l’ironia con cui i pagani li interrogavano: “Dov’è il tuo Dio?”. Di fronte alle catastrofi dei nostri tempi, alla malvagità dei potenti, all’oppressione subita da chi non ha voce, anche noi siamo raggiunti dalla domanda: “Dov’è il vostro Dio?”. Domanda che non ci viene solo dall’esterno, ma sale dal profondo di ciascuno di noi. La risposta arriva direttamente da Gesù: “Io sono con voi fino alla fine dei secoli”. Questa parola interpella la nostra fede, che non è un possesso tranquillo, ma piuttosto un cammino, che avanza fra le tentazioni del mondo e le consolazioni dello Spirito santo. La ricevemmo nel battesimo come un seme, destinato a diventare albero da frutto. Fra i due momenti c’è tutta la fatica della crescita. C’è il combattimento del “tempo intermedio”. C’è la vita.

AUTORE: Bruno Pennacchini Esegeta, già docente all'Ita di Assisi