“Donna, io non ti condanno”

Commento alla liturgia della Domenica a cura di Bruno Pennacchini V Domenica di Quaresima - anno C

Colpisce la parola con cui Gesù congeda la donna colta in flagrante adulterio e da Lui sottratta alla lapidazione: “Va’!”. Così narra il Vangelo di questa quinta domenica di Quaresima. Una sola sillaba, in italiano; ma racchiude il senso dell’intera liturgia di oggi: dimenticare il peccato passato e perdonato, e guardare verso il futuro che ci viene incontro. Nella prima lettura il profeta Isaia annuncia ai Giudei, esuli in babilonia, una notizia apparentemente assurda: la concreta possibilità del ritorno in patria.

Tutto avverrà per la stessa potenza divina con cui il Signore aveva aperto una strada nel mare al popolo oppresso in Egitto. “Non ricordate più le cose passate, non pensate più alle cose antiche! Ecco, io faccio una cosa nuova… aprirò anche nel deserto una strada” (Is 43,19). La seconda lettura ci dà occasione di ascoltare Paolo che scrive ai cristiani di Filippi. Dopo aver premesso che considera tutta roba da buttar via le possibilità di carriera e di onori, sui quali un tempo aveva spasmodicamente puntato, dichiara: “Dimenticando ciò che mi sta alle spalle e proteso verso ciò che mi sta di fronte, corro verso la mèta, al premio che Dio ci chiama a ricevere lassù, in Cristo Gesù” (Fil 3,13-14).

Nella lettura dei Vangeli, capita frequentemente di incontrare Gesù che insegna. Gli evangelisti sottolineano il fatto che, prima di prendere la parola, egli si siede. Era la posizione tradizionale di chi sapeva di avere l’autorità di insegnare. In queste circostanze lo abbiamo ascoltato spesso parlare del perdono, dell’amore del Padre e della Sua tenerezza. Nel racconto di oggi quell’insegnamento diventa carne nella figura di una donna accusata di adulterio. La parola “adulterio” nelle Scritture sante ha risonanze particolari: i profeti accusano Israele di essere adultero; il Signore lo ha amato come si ama una sposa, ma Israele lo ha ripetutamente tradito, trescando con altre divinità. Ogni peccato dunque è adulterio, perché tradisce l’amore di Dio.

Giovanni narra che scribi e farisei trascinarono questa donna in mezzo al gruppo degli ascoltatori; e sotto sguardi impietosi e ipocriti, provarono di nuovo a incastrare Gesù. Gli domandarono se ritenesse giusto applicare la legge mosaica, che in caso di adulterio prevedeva la lapidazione. La domanda era furba: se avesse risposto di sì, si sarebbe compromesso davanti ai discepoli e al popolo, che ne ammirava la mitezza, e la donna sarebbe stata assassinata; se avesse risposto di no, lo avrebbero accusato di blasfemia presso le autorità religiose. Gesù all’inizio non rispose. Si piegò a terra e si mise a scrivere. È l’unica volta che le narrazioni evangeliche fanno cenno a Gesù che scrive.

Nonostante tutte le ipotesi degli studiosi e gli sforzi dei predicatori negli ultimi duemila anni, nessuno ha mai saputo che cosa abbia scritto quella mattina, sul pavimento polveroso dei cortili del Tempio. Intanto quelli insistevano a voler sapere come la pensava. Allora si alzò e, non più come maestro ma con il piglio del profeta, rispose: “Chi di voi è senza peccato, scagli per primo la pietra contro di lei”. E si chinò di nuovo a terra, a scrivere. Quelle parole avevano messo un punto fermo nella storia della civiltà umana. Aveva spostato il problema dalla legge alla persona. Loro avevano posto un problema in nome della Legge, una questione di principio; Gesù li rimanda a un problema personale. La persona viene prima di ogni più sacro principio.

Dopo quelle parole, nessuno se la sentì di sfidarlo ancora. E silenziosamente, uno per volta, se la squagliarono tutti, lasciandolo solo con la donna rannicchiata là dove l’avevano trascinata. Forse cominciava a sperare. Gesù si alza di nuovo in piedi e la interpella con lo stesso titolo nobiliare con cui si rivolgerà a sua madre dalla croce: “Donna!”. Fino a quel momento era un’adultera, femmina senza nome e senza dignità. “Questa donna” l’avevano chiamata gli accusatori. Gesù le rivolge la parola come si fa con una signora. La tradizione non ne ha tramandato il nome proprio, perché lei porta ogni nome; i nomi di quelli che la accusavano e anche quello di ciascuno di noi. “Donna, dove sono?”. Sul volto di Gesù deve essere apparso un sorriso.

Gli altri erano scomparsi, messi ciascuno di fronte alla propria realtà: avevano dovuto ammettere, nascostamente, che nessuno di loro era migliore di una donna adultera. Davanti al proprio peccato fuggirono; la donna, che non poté fuggire, ebbe in sorte di ascoltare la sentenza del perdono: “Non ti condanno”. Chissà se anche qualcuno degli accusatori si lasciò, anche lui, giudicare da quella Parola che era stata mandata nel mondo a salvare i perduti? La parola conclusiva che la donna perdonata e riabilitata ascoltò fu l’esortazione a mettersi in cammino: “Va’! E d’ora in poi non peccare più”. Dio le aveva aperto una strada. Il suo doloroso passato non esisteva più.

AUTORE: Bruno Pennacchini Esegeta, già docente all’Ita di Assisi