Giustizia e carità

Parola di vescovo

L’istituzione del ‘Fondo di solidarietà delle Chiese umbre’, come pure la colletta nazionale promossa dalla Cei in favore dell’Abruzzo, costituiscono una sfida e un’opportunità da saper cogliere per coniugare non solo sobrietà e solidarietà, ma anche giustizia e carità. A riguardo del vincolo indissolubile tra giustizia e carità è opportuno rileggere, a cinquant’anni dalla morte, quello che scrive don Primo Mazzolari tanto nelle pagine de La via crucis del povero, pubblicate nel 1939, quanto in quelle postume dal titolo Rivoluzione cristiana. ‘Con un atto di carità si può espiare un’ingiustizia, non sostituire la giustizia, specialmente la giustizia sociale. Sarebbe troppo comodo farsi dei meriti col distribuire ciò che non è nostro. Si fa la giustizia nella gestione di cose che abbiamo in comune; la carità nella gestione di cose che sono nostre’. Oltre all’ingiustizia del ‘possedere con frode’, don Primo condanna quella ben più grande del ‘possedere molto, mentre tanti hanno niente’. Emblematica è la testimonianza resa da Zaccheo, il quale non si limita a distribuire ai poveri ‘la metà di ciò che possiede’, ma si preoccupa di restituire il quadruplo di quello che ha accumulato con frode (cf. Lc 19,1-10). Nel chiarire i termini della relazione tra giustizia e carità, che impone di spogliarsi della ‘inutile bardatura della ricchezza’, Mazzolari precisa che ‘la giustizia economica, pur essendo di grado meno eminente, precede quasi sempre quella spirituale’. ‘Una volta mi meravigliavo e mi indisponevo perché la maggior parte degli uomini avverte prima, e in modo più vivo, i bisogni della vita materiale, mentre ciò che vale è l’eterno. Adesso deploro, senza meravigliarmene. Non è tanto naturale che parli prima il senso dello spirito, specialmente là dove le necessità materiali sono strangolatrici. La ricchezza spegne l’anima, ma lo stesso fa la miseria, che il Vangelo non ha elencato fra le Beatitudini’. La sintesi tra giustizia e carità, autentica opera-segno della predilezione per i poveri, non può essere raggiunta senza sentire la necessità di ‘restituire la parola ai poveri’, che è tutt’altra cosa dal parlare ai poveri o dal parlare in nome dei poveri e persino dal parlare dei poveri. ‘Quando molti cristiani parlano dei poveri ‘ lamenta don Primo ‘ danno l’impressione che li guardino dal di fuori, come quei pittori che si dipingono in un angolo della Crocifissione, spettatori del dramma, nonostante gli occhi pieni di lacrime’. ‘Fare uguaglianza’ (cf. 2Cor 8,13), gettando via la maschera dell’idolatria che è la cupidigia (cf. Col 3,5): a giudizio di Mazzolari questo è il modo concreto e generoso di dare voce ai poveri, senza mozzare loro il fiato con la spilorceria degli avanzi del superfluo. ‘Dove c’è nessun amore, il di più non c’è; dove c’è poco amore, il di più è sempre scarso; dove c’è tanto amore, tutto è di più, anche la propria vita. Se uno aspetta che glielo portino via, il di più, è un seminatore di discordie e di guerre. Chi spreca per non dare, è un criminale furbo. Chi non dà nulla per non creare un precedente, è un criminale stupido. Chi dà qualche cosa per non perdere tutto, è un mercante qualunque. Solo chi dà tutto è un cristiano’. È inutile, anzi, superfluo aggiungere altro a queste parole di don Primo Mazzolari, ‘uno dei protagonisti più significativi del cattolicesimo italiano del Novecento’.

AUTORE: ' Gualtiero Sigismondi