Il Cappuccino che ha Saputo entrare in ‘palazzi e tuguri’

La diocesi e mons. Ronchi si sono salutati con affetto al termine del suo servizio episcopale

‘Grazie, Signore! Grazie, fratelli e sorelle!’. Da sola, questa esclamazione di mons. Pellegrino Tomaso Ronchi rende l’idea del clima che si è vissuto domenica scorsa 9 settembre in cattedrale a Città di Castello. Il Vescovo presiedeva l’eucaristia in occasione della conclusione del suo servizio episcopale in diocesi. La preghiera di ringraziamento al Signore è stata intensa e partecipata da una moltitudine di persone, che hanno così ringraziato una persona eccezionale, un pastore che sarà ricordato anzitutto per la sua disponibilità ad ascoltare ciascuno, per la sua intelligenza nel capire i problemi, per la sua capacità di dialogo. Un vescovo che è stato anche un frate Cappuccino e che ha avuto sempre come stile di servizio pastorale quello di ‘servir gli infimi, entrar ne’ palazzi e ne’ tuguri con lo stesso contegno d’umiltà e serenità; a tutto è avvezzo un cappuccino’. Non sono mancate le autorità civili e militari della diocesi a salutare mons. Ronchi. Del resto negli anni di episcopato ‘c’è stata una grande collaborazione con i vari sindaci dei sette Comuni nei quali si estende la diocesi: Città di Castello, San Giustino, Citerna, Monte Santa Maria Tiberina, Montone, Pietralunga e 4 grosse parrocchie del Comune di Umbertide. Una collaborazione fondata sull’amicizia innanzitutto, poi sulla stima, lealtà e presenza ogni qualvolta mi è stato possibile. La medesima stima e collaborazione c’è stata anche – ha ribadito mons. Ronchi – con tutte le autorità civili e militari’. La celebrazione, vissuta per intero come se la diocesi fosse una sola grande famiglia, è iniziata con il saluto del vicario generale, mons. Franco Sgoluppi, e si è conclusa con la consegna a mons. Ronchi di una riproduzione dell’affresco di san Florido, il patrono della comunità diocesana del quale mons. Ronchi è successore. Durante l’omelia, una confessione a cuore aperto, mons. Ronchi non ha mancato di chiedere ‘a tutti ed a ciascuno di perdonarmi se con le mie mancanze o inadempienze, ed in conseguenza dei miei difetti o colpe, avessi offeso o fossi stato per qualcuno motivo di dispiacere’. Il presule ha elencato tantissime gioie che la diocesi ha regalato. ‘Prima fra tutte, la comunione con il presbiterio diocesano, compresi i presbiteri religiosi. Ho ricevuto da loro affetto, stima, consenso. Non si può essere sempre d’accordo tutti su tutto, ma tra noi c’è stata sempre lealtà e quella cordialità di rapporti umani con la quale si cerca di vivere la verità nella carità’. Tra i tanti momenti significativi che hanno segnato il servizio episcopale, ‘tre sono quelli che mi stanno più a cuore: la visita pastorale, attraverso la quale, durante i tre anni del suo svolgimento, ho potuto incontrare tutte le realtà delle parrocchie: famiglie, giovani, anziani, fabbriche, scuole. Il secondo momento importante è stato l’incontro con coloro ai quali ho amministrato la cresima, per un totale di ben 8.740 ragazzi, che per molti anni ho accompagnato con colloqui personali assieme ai loro genitori. Infine il terzo momento: quello delle tante visite ai malati sia nell’ospedale che nelle loro abitazioni, incontri che mi hanno tanto edificato. Si può ben comprendere come sia più che naturale che io porti tutti, indistintamente nel mio cuore’. E tutta la diocesi porterà nel suo cuore padre Pellegrino. Francesco Mariucci