Il Grande Comandamento

Commento alla liturgia della Domenica a cura di Bruno Pennacchini XXX Domenica del tempo ordinario - anno A

Decisamente le autorità del Tempio non demordono. Domenica scorsa una loro delegazione aveva provato a intrappolare Gesù con la questione delle tasse da pagare ai Romani. Questa volta i farisei incaricano uno specialista, un “dottore della Legge”, vale a dire un sottile conoscitore della Bibbia. Speravano di ottenere un doppio risultato: mettere alla prova la preparazione biblica di Gesù e fare un dispetto ai loro avversari politici, i sadducei, che erano stati precedentemente ridotti al silenzio (Mt 22,33). “Maestro, nella Legge, quale è il comandamento grande?”.

La domanda è solo apparentemente ovvia; in realtà era materia di interminabili, cavillose discussioni tra i massimi esperti in materia. Che ne poteva sapere di tutte le loro sottigliezze questo outsider provinciale, autodidatta, galileo, grezzo e senza studi accademici? Questa volta lo avrebbero davvero messo nel sacco. Invece gli andò male anche questa volta. La risposta di Gesù era tratta integralmente da testi della Scrittura, che l’esperto non poteva non condividere: “Tu amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore con tutta la tua anima e con tutte le tue forze… Tu amerai il tuo prossimo come te stesso”. La prima parte della risposta di Gesù veniva pari-pari dal libro del Deuteronomio (6,5); faceva parte della professione di fede quotidiana di ogni giudeo credente; la seconda era tratta dal libro del Levitico (19,18). Di suo Gesù aggiunge: “Da questi due comandamenti dipendono tutta la Legge e i Profeti”.

Abbiamo tanto nelle orecchie queste parole che ci pare di averle capite da sempre; ma forse è il caso di approfondirle un po’. Conviene cominciare dalla domanda del dottore della Legge, il quale in buona sostanza chiede quale, fra i 613 precetti enumerati dalla tradizione rabbinica, dovesse essere considerato “il grande comandamento”. Per comprendere rettamente la risposta di Gesù, bisogna collocarla nel suo contesto, lo Shemà: “Ascolta, Israele, l’Eterno è l’Unico… che tu amerai sopra ogni altra cosa…”. Gesù dunque, insieme a tutto il suo popolo, afferma che in cima a tutto c’è Dio, e che nessun altro lo è; Egli è il senso ultimo di ciò che nella vita conta. La pletora dei precetti rabbinici rischiava di sviare l’attenzione su altri dettagli, che in definitiva ponevano in cima se stessi. Questo riguarda anche noi. Ci domandiamo: chi o che cosa poniamo in cima agli interessi della nostra vita? Quali cose riteniamo le più importanti in assoluto? Spesse volte lo scopo vero delle nostre pretese “devozioni” non sembra essere la ricerca di Dio, ma la nostra propria soddisfazione.

Serviamo Dio o stiamo cercando di servirci di Lui? La questione è decisiva: quando cerchiamo di servirci di Lui, siamo semplicemente idolatri. Troveremo la risposta a questa domanda riflettendo sul rapporto che abbiamo con l’altro. Vale a dire: i rapporti fra noi sono lo specchio del nostro rapporto con Dio. “Chi non ama il proprio fratello che vede, non può amare Dio che non vede” (1 Gv 4,20). Il precetto dell’amore al prossimo, in italiano suona così: “Amerai il tuo prossimo come te stesso”. La nostra lingua però non riesce a rendere del tutto la forza contenuta nella lingua originale, l’ebraico; lingua in cui certamente Gesù lo ha pronunciato; esso in buona sostanza significa: ama il prossimo tuo, perché lui è come te e tu sei come lui; ossia voi due, in qualche modo, siete uno, perché siete nelle stesse condizioni.

Va chiarito anche il termine “amare”, che in italiano ormai significa tutto e anche il suo contrario: dall’attività erotica all’innamoramento di un ragazzo e una ragazza, al legame della madre al suo bambino, fino allo spendersi gratuitamente a servizio degli altri. Nel contesto dello Shemà il verbo ha fondamentalmente il valore di scegliere radicalmente per Dio, con sincerità, senza infingimenti o restrizioni mentali. Il che viene precisato dalle parole successive: “con tutto il tuo cuore, la tua anima e le tue forze”.

Tradotto in termini contemporanei è come dire: con tutto ciò che sei, in termini di razionalità, di emotività, di decisioni e quant’altro; e con tutto ciò che hai. La tradizione rabbinica interpretava: con tutte le tue possibilità economiche e finanziarie. L’aspetto sorprendente della risposta di Gesù sta nel fatto di aver accostato i due testi dell’Antico Testamento e averne fatto in qualche modo uno solo, dichiarando che il precetto dell’amore al prossimo ha lo stesso valore di quello dell’amore a Dio. Esso è pensato come l’anello madre a cui tutti gli altri comandamenti sono appesi. “Da questi due comandamenti dipendono tutta la Legge e i Profeti” (22,39). Ossia l’intera rivelazione.

AUTORE: Bruno Pennacchini Esegeta, già docente all'Ita di Assisi